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A tutto c’è un limite

31 ottobre 2009 0 commenti
Con questo articolo concludo la trilogia contro l’”ottimismo tecnologico” della società nei confronti del problema ambientale e dei limiti dello sviluppo, iniziata con l’articolo “L’entusiasmante caduta delle emissioni di gas serra” e proseguita con l’articolo “Perché non mi piace la green economy”. Nel grafico qui accanto, potete vedere lo “scenario standard” tratto dal celeberrimo “I limiti dello sviluppo”, che descrive l'andamento delle grandezze più significative del sistema mondo, ricavato mediante il calcolatore “nell'ipotesi che né i fondamentali valori umani né il funzionamento del sistema popolazione-capitale subiranno nel futuro alcun cambiamento sostanziale rispetto agli ultimi cento anni”. Tali grandezze sono: popolazione (numero totale di individui); prodotto industriale pro capite (dollari equivalenti pro capite all'anno); alimenti pro capite (kg di grano equivalenti pro capite all'anno); inquinamento (riferito al livello 1970, posto uguale a 1); risorse naturali non rinnovabili (espresse come frazione delle riserve valutate nel 1900).
Potete notare che gli autori volutamente non hanno riportato le scale delle grandezze in ordinate, mentre in ascisse figurano solo i valori estremi della scala dei tempi. “Questo per scoraggiare la tendenza a leggere questi tracciati come vere e proprie predizioni”.
E’ evidente che il valore della simulazione ha un carattere qualitativo e non quantitativo e serve a rappresentare una tendenza. Comunque, siccome da quando il libro è uscito nel 1972, l’umanità non ha praticato nessuna delle raccomandazioni in esso contenute, per puro esercizio accademico, ho provato a sovrapporre al grafico alcuni valori noti, citati nel testo, relativi alla popolazione, cioè 1600 milioni per l’anno 1900 e 3500 milioni per l’anno 1970 e una stima grossolana del valore previsto per l’anno 2010, circa 6500 milioni. Quindi, l’ordine di grandezza della popolazione sembrerebbe essere azzeccato in pieno. Ma andiamo avanti, ed esaminiamo le curve del prodotto industriale e degli alimenti procapite. Negli anni che stiamo vivendo ci saremmo dovuti trovare su un picco a forma di pianoro a cui sarebbe seguito un rapido collasso. Leggiamo cosa dice il Rapporto: “E’ chiaro che questo tracciato corrisponde alla condizione di superamento dei limiti naturali, con successivo collasso provocato dall'esaurimento delle risorse naturali non rinnovabili. Il capitale industriale cresce fino a un livello che richiede un afflusso enorme di materie prime, per cui il processo di crescita è accompagnato dal progressivo depauperamento delle riserve; ma ciò provoca una lievitazione dei prezzi delle materie prime, per ottenere le quali occorre impegnare frazioni crescenti di capitale, a discapito degli investimenti. Alla fine gli investimenti non riescono più a seguire il passo del deprezzamento del capitale, e si verifica il collasso della base industriale e quindi dell'agricoltura e dei servizi, dato che questi settori dipendono in maniera essenziale dai beni prodotti dall'industria (fertilizzanti, insetticidi, attrezzature ospedaliere, calcolatori e soprattutto energia per la meccanizzazione). Per un breve periodo di tempo la situazione rimane a un livello critico poichè la popolazione, a causa dei ritardi che caratterizzano il ciclo riproduttivo e i processi di assestamento sociale, continua a crescere; ma la carenza di alimenti e di servizi sanitari provoca un rapido incremento dell'indice di mortalità e il livello di popolazione si abbassa”.
A questo punto della lettura, confesso che mi cominciano un po’ a tremare le gambe, perché sembra proprio che venga descritta la situazione che stiamo vivendo, con la crisi dei prezzi delle materie prime, la recessione economica e la riduzione della disponibilità alimentare procapite.
Ma non facciamoci prendere da queste suggestioni catastrofiste e passiamo a un altro dei tanti scenari alternativi contenuti nel Rapporto, quello dell’ “ottimismo tecnologico”, esemplificato in questo secondo grafico che considera l’ipotesi di miglioramento tecnologico nel settore dell’energia.
Nel grafico, “sono riportate le curve che illustrano il comportamento del sistema mondiale nell'ipotesi, ottimistica, che l'energia nuc1eare risolverà tutti i problemi del settore “risorse naturali”. Precisamente, si è ammesso che la possibilità di utilizzare minerali più poveri o di sfruttare i giacimenti dei fondali marini consenta di raddoppiare le riserve e inoltre che, a partire dal 1975, vengano adottati dei programmi di ricupero e riutilizzazione dei materiali gia usati, in modo da ridurre a un quarto del valore attuale il fabbisogno di risorse vergini per unità di prodotto industriale. Entrambe le ipotesi sono eccessivamente ottimistiche, ma proprio per questo esse consentono di verificare in maniera definitiva la fondatezza della tanto conclamata fiducia nel prossimo avvento dell'energia nucleare. Come si vede, … si riesce in tal modo a scongiurare il sopravvenire di un'improvvisa carenza di materie prime, ma … lo sviluppo viene arrestato dall'enorme aumento dell'inquinamento… Una disponibilità illimitata di risorse, pertanto, non sembra rappresentare la soluzione per mantenere lo sviluppo del sistema mondiale”.
Poi gli autori provano in tutte le maniere a sovrapporre a questo scenario altri scenari di “ottimismo tecnologico” nei settori della lotta all’inquinamento, della produzione di alimenti, del controllo delle nascite. Non c’è niente da fare, si riesce solo a procrastinare la data del superamento dei limiti e del collasso. Il motivo, semplice quanto inaccettabile per una società fondata sulla religione della crescita, si legge nelle conclusioni: “Gli ottimisti tecnologici confidano che la tecnologia giungerà a rimuovere o ad allontanare i limiti allo sviluppo della popolazione e del capitale. Abbiamo dimostrato peraltro, nel modello del mondo, che l'applicazione della tecnologia ai problemi dell'esaurimento delle riserve naturali, dell'inquinamento, della mancanza di alimenti, non risolve il problema essenziale, quello cioè determinato da uno sviluppo esponenziale di un sistema finito e complesso. I nostri tentativi d'introdurre anche le più ottimistiche previsioni sugli effetti della tecnologia nel modello, non impediscono il verificarsi del collasso finale della popolazione e dell'industria, in ogni caso non oltre il 2100”.

Ipse dixit.