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Bada come parli

19 dicembre 2009 0 commenti

Qualche giorno fa è apparso un articolo di Maurizio Crosetti su “La Repubblica”, di cui consiglio la lettura, in cui il giornalista racconta della crassa ignoranza della lingua italiana in cui sembra essere drammaticamente finita un’intera generazione di nostri connazionali. Non entro nel dibattito sulle cause di questa sconveniente situazione, per affrontare un altro tema connesso alla riflessione di Crosetti. Egli solleva a mio parere due problemi per niente secondari. Il primo riguarda la difesa del nostro idioma nazionale, della nostra cultura secolare e, in ultima istanza, della nostra identità, sempre più aggrediti da una globalizzazione (mi perdoni Crosetti questo sgradevole neologismo) banalizzante e da un’omologazione consumistica dei comportamenti. Ho di recente affrontato questa tematica in “Viva l’Italia” e in “Perché non mi piace la green economy”, non per riproporre un becero nazionalismo, ma per sollecitare la riscoperta di valori comuni e unificanti, assolutamente necessari in questa fase di incombente crisi delle risorse, che si abbatterà con effetti devastanti sulle economie e sulle società di tutto il mondo.
Il secondo attiene al rapporto tra linguaggio letterario e linguaggio scientifico e richiede un maggiore approfondimento. Ambedue i linguaggi, si manifestano attraverso segni, ma le conseguenze reali del simbolismo in essi contenuto sono profondamente diverse. In particolare per quanto riguarda gli errori e le inesattezze espressive. Gli errori linguistici, entro certi limiti, non inficiano la possibilità di comprensione del discorso, le imprecisioni del linguaggio scientifico pregiudicano irrimediabilmente il rigore e la correttezza del metodo scientifico. Se ad esempio un parente ci scrivesse “Sto disperato, io avrebbe bisogno del aiuto vostro”, forse rabbrividiremmo per gli orrori grammaticali, ma questo non ci impedirebbe di correre immediatamente in soccorso del malcapitato. Se invece uno studente di matematica scrivesse nella dimostrazione a + b * c, al posto di (a + b) * c, il risultato finale sarebbe sbagliato e rimedierebbe una sonora bocciatura.
Allora, perché è importante e dobbiamo pretendere che si parli un italiano corretto? Perché è giusto che una comunità nazionale coesa si esprima in maniera omogenea e condivisa, ma soprattutto per una questione eminentemente estetica, legata al piacere formale che ci procura un discorso corretto dal punto di vista grammaticale e sintattico. In un’epoca utilitaristica come la nostra, potrebbe sembrare un argomento irrilevante, ma l’aspirazione alla bellezza è a mio parere l’unico antidoto contro la barbarie. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, fece dire ad Ulisse uno dei padri della nostra antica lingua. Naturalmente, auspicheremmo tutti che un bel discorso in italiano fosse sempre accompagnato anche da un contenuto ragionevole e non proponesse corbellerie scientifiche, ma tutto dalla vita non sempre si può avere. Vittorio Sgarbi si esprime in un italiano impeccabile, però quando manifesta la sua contrarietà alle centrali eoliche o al tram di Firenze dice delle castronerie che gli andrebbero rinfacciate in un altrettanto impeccabile italiano. Concludendo, rigore scientifico e correttezza formale dal punto di vista linguistico, non indeboliscono ma arricchiscono il discorso sulla natura umana.