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I contadini e la crescita zero

13 maggio 2009 0 commenti
Per caso, mi è tornato fra le mani in questi giorni il libro "Humankind" di Peter Farb, del 1978. Era un libro che avevo letto poco dopo la sua pubblicazione e che - mi accorgo adesso - ha molto influenzato il mio modello del mondo, anche se me ne ero un po' dimenticato. Farb è stato un antropologo specializzato nelle civiltà nord-americane che, però, ha anche studiato la civilizzazione umana tutta intera. Ne è venuto fuori uno studio affascinante, oggi un po' datato per certe cose, ma ancora validissimo. Farb è scomparso nel 1980, questo libro è stato un po' il suo testamento spirituale. Si vede dalla vastità del tema, dall'approccio molto approfondito, dall'evidente interesse dell'autore verso tutte le cose umane. Fra le altre cose, il testo di Farb dimostra come molte cose che si dicevano negli anni '70 (per esempio "I Limiti dello Sviluppo" del 1972) avevano già perfettamente inquadrato i problemi che ci troviamo di fronte ancora oggi. In particolare, oggi che si parla molto di "società a crescita zero", mi sembra particolarmente rilevante il capitolo che Farb dedica a una società del passato che era già a crescita zero; addirittura da millenni: il mondo dei contadini. Di solito, ci immaginiamo la società a crescita zero come molto simile all'attuale, soltanto con più mezzi pubblici e meno automobili. Ma sarebbe veramente così? O non somiglierebbe piuttosto all'antica società contadina che Farb ci descrive?




Da "Humankind", di Peter Farb, Bantam 1978; p. 130
(traduzione di Ugo Bardi)

... l'atteggiamento dei contadini è probabilmente l'unico possibile per loro. Un osservatore moderno della vita dei contadini ha definito il loro adattamento come "l'immagine di beni limitati". In altre parole, i contadini vedono il loro ambiente come qualcosa in cui tutte le buone cose della vita - terra, ricchezza, potere, amicizia, sesso, salute e onore - esistono soltanto in quantità limitate. Così come loro vedono le cose, questa limitazione esiste per due ragioni: ci sono più persone di quanto non ci siano cose buone e loro si considerano impotenti ad aumentarne le quantità disponibili. I contadini hanno inconsciamente esteso una verità relativa alla natura della terra coltivabile a includere tutti gli aspetti della vita. Come la terra, le cose buone possono essere divise e possono cambiare proprietario - ma non possono essere aumentate.

Dato che non ci sono abbastanza cose buone in giro, una famiglia contadina può migliorare la propria posizione soltanto a spese di altre famiglie nella comunità. Una famiglia che lavora attivamente per migliorare la propria condizione rappresenta così una minaccia; qualunque cosa buona riesca ad accumulare deve necessariamente arrivare a spese di qualcun altro. I contadini, di conseguenza, vedono le moderne tecnologie agricole come metodi per portar via ad altri le loro dovute porzioni di ricchezza piuttosto che modi per aumentare la produttività e di conseguenza creare nuova ricchezza. Persino i contadini illuminati si rendono conto che non possono modernizzarsi, sebbene capiscano i vantaggi di farlo, semplicemente perché gli altri abitanti del villaggio vedrebbero la loro modernizzazione come un vantaggio sleale che aumenterebbe la loro parte dei beni limitati disponibili. La convinzione dei contadini che tutto quello che è desiderabile è limitato è dietro il loro comportamento sociale che appare spesso ai non contadini come ridicolo, patetico, o esasperante.

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Nessuna meraviglia, allora, che il comportamento dei contadini è caratterizzato da un estremo individualismo e dall'assenza di cooperazione. Per cooperare, i contadini dovrebbero delegare l'autorità - ma nessuno vuole assumere questa autorità dato che i vicini pettegoli si lamenterebbero che la loro parte di autorità viene loro portata via. Così, nello scansare le responsabilità comuni che potrebbero portarli a una posizione preminente, i contadini privano la loro stessa comunità dell'attitudine al comando che sarebbe essenziale per interrompere il ciclo della povertà

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La famiglia contadina se la può cavare molto bene senza bisogno di cooperazione perché è un'unità quasi auto-sufficiente. Produce quasi tutto il cibo di cui ha bisogno, usa soltanto membri della famiglia come forza lavoro, si cuce i propri vestiti, costruisce la maggior parte degli utensili di casa e porta i propri prodotti al mercato. La maggioranza delle famiglie ritengono che, piuttosto che perdere tempo per cooperare, devono piuttosto vigilare sul fatto di avere esattamente la loro parte di cose buone. La famiglia non deve restare indietro, ma non deve nemmeno dare l'impressione di stare migliorando la propria posizione, pena il sollevare dei sospetti e gelosie. Gli estranei che visitano un villaggio di contadini sono di solito colpiti dall'aspetto uniforme delle case e dei vestiti.

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Le famiglie contadine fanno uno sforzo disperato per garantirsi una frazione proprozionata delle limitate risorse disponibili per mezzo del puro numero di bambini che mettono al mondo. Dal punto di vista del contadino, è perfettamente sensato avere molti bambini. Infatti, quasi tutto nell'esperienza dei contadini va contro l'idea che famiglie non numerose sono vantaggiose. Dato che la mortalità dei figli dei contadini è stata tradizionalmente alta, avere un gran numero di figli è una forma di assicurazione che qualcuno almeno sopravviverà. <..> La coppia contadina capisce che più figli maschi producono, migliore la possibilità che qualcuno di loro sopravviverà per sostenerli nella loro vecchiaia. <..> La logica dei contadini è impeccabile comunque la si voglia vedere: l'agricoltore ricco può investire in macchinari agricoli, ma il contadino povero può investire soltanto in figli.