Sacchetti “ecologici”: considerazioni sulla sostenibilità
Questa tabella è tratta dal libro di Marcia e David Pimentel “Energia, Cibo e società” del 2007. Mostra le quantità di energia e materiali che sono necessari per la coltivazione del mais (”corn”) negli Stati Uniti (questi dati sono quasi certamente validi anche per l’Europa). Come si vede, circa un quarto dell’energia alimentare contenuta nel mais viene da fonti fossili in forma di carburanti, macchinario, insetticidi, erbicidi, elettricità, eccetera. Senza energia di origine fossile, non sarebbe nemmeno lontanamente possibile coltivare il mais così come lo si coltiva oggi. Data questa situazione, non possiamo considerare il mais - o prodotti derivanti dal mais - come “sostenibili”.
Poco tempo fa, su questo blog avevo manifestato delle perplessità sulle proprietà del polimero “MaterBi” a base di mais, che si sta diffondendo nei supermercati italiani per le borse usa-e-getta. La mie considerazioni hanno suscitato un certo interesse sul web e ho anche ricevuto una risposta da parte del produttore, la Novamont. A questo punto, credo di poter approfondire un po’ la faccenda.
In generale, gli imballaggi sono cose utilissime: pensate solo ai tempi antichi, quando molto di quello che si produceva in agricoltura andava perso perchè andava a male o se lo mangiavano i topi. D’altra parte, gli imballaggi moderni sono spesso a base di materiali non rinnovabili (plastiche). Anche quando sono riciclabili, per esempio alluminio, vengono riciclati solo in parte e spesso in modo poco efficiente. Inoltre, siccome costano poco, tendiamo a usarli in misura maggiore di quanto non sia necessario: questo è quello che si chiama “‘iperimballaggio”. Questa situazione ci porta a dei costi elevati, alla produzione di una grande quantità rifiuti e a dei problemi di dispersione degli imballaggi nell’ambiente: pensate solo ai danni che fanno i sacchetti del supermercato che si trovano sparsi per i boschi e le campagne.
Per evitare questi problemi, vorremmo che gli imballaggi scomparissero rapidamente dopo l’uso. Per questo si cerca di fare imballaggi che siano biodegradabili e compostabili; due proprietà strettamente correlate. Ma non basta che l’imballaggio scompaia dalla vista dopo l’uso. Bisogna che sia compatibile con un uso corretto delle risorse. Anche un polimero di sintesi come il polietilene è compostabile e biodegradabile, se gli si da abbastanza tempo (anni). Ma il polietilene si crea a partire da risorse finite ed esauribili e dalla sua decomposizione si generano gas serra che vanno a incrementare il riscaldamento globale. Quello di cui abbiamo bisogno è di imballaggi che non siano soltanto biodegradabili e compostabili ma sostenibili. Ovvero, vorremmo che sia possibile “chiudere il ciclo” della produzione partendo da materie prime rinnovabili e riciclando o riutilizzando tutto dopo l’uso.
Da qui nasce l’idea dei polimeri creati a partire da materiali di origine biologica. Questo concetto si esprime anche con il termine “bioplastiche”. In linea di principio, questi polimeri sono sostenibili; in quanto il risultato di un processo sostenibile. Ovvero, la CO2 emessa nell’atmosfera dalla loro degradazione ritorna nel normale ciclo biologico. Sono anche più facilmente biodegradabili e compostabili dei loro equivalenti artificiali. Il MaterBi, costituito principalmente da amido di mais, è uno di questi polimeri. Teoricamente, le bioplastiche ci possono risolvere un sacco di problemi. Nella pratica, però, possiamo considerare il MaterBi e le altre bioplastiche sul mercato come veramente sostenibili? Ovvero, possono chiudere veramente il ciclo produttivo?
In generale, un prodotto si può considerare sostenibile a due condizioni: a) che nella produzione vengano utilizzati esclusivamente materiali sostenibili, ovvero riciclabili e b) che l’energia utilizzata per la produzione sia esclusivamente di origine rinnovabile. Questo viene detto anche il principio “cradle to cradle”, ovvero “dalla culla alla culla”. Per verificare quali prodotti si possono definire sostenibili, ci sono molteplici certificazioni o “ecolabel”. La certificazione che è probabilmente la più seria e la più stringente che abbiamo oggi è quella detta “C2C” (cradle to cradle) sviluppata dalla società MBDC (McDonough Braungart Design Chemistry).
Nella lista dei prodotti certificati dalla MBDC non ho trovato nessuna bioplastica. Non è impossibile trovare dei contenitori per alimenti sostenibili; ce ne sono due: Be Green Packaging, LLC e Earth Buddy Ltd. Entrambi, però, non sono bioplastiche, ma sostanze a base di fibre vegetali. Ci sono delle buone ragioni per la mancanza di bioplastiche nella lista; principalmente il fatto che derivano da prodotti di un’agricoltura che non è sostenibile. Questo lo vediamo bene, per esempio, nel caso del MaterBi. Dalla tabella di Pimentel riportata all’inizio di questo post vediamo che la coltivazione del mais richiede grandi quantità di combustibili fossili in varie forme.
Possiamo quantificare approssimativamente l’uso di fossili confrontando il materbi e il polietilene - che è interamente di origine fossile. Abbiamo detto che il mais richiede circa il 25% di energia fossile per la sua produzione. Consideriamo poi che un sacchetto di MaterBi pesa circa il 50% di più di uno di polietilene. Teniamo conto, infine, che il MaterBi non è tutto di origine naturale ma contiene una frazione di materiali di origine fossile. Il risultato finale è che usando un sacchetto di MaterBi si risparmia energia fossile, certamente, ma probabilmente non molto di più del 50% rispetto a un equivalente sacchetto in polietilene. E’ senz’altro un miglioramento, ma siamo lontani dalla possibilità di chiudere il ciclo utilizzando sostanze completamente naturali.
Tutto questo non vuole demolire l’idea di usare le bioplastiche come contenitori: è sempre bene evitare l’errore di rinunciare al buono in attesa del meglio. Ma, certamente, al momento attuale, le bioplastiche sono materiali lontani dall’essere completamente soddisfacenti: nel futuro dovremo fare di meglio. L’imballaggio perfetto potrebbe essere la buona vecchia borsa della spesa in fibre naturali, certamente sostenibile e anche molto economica perché riusabile un gran numero di volte. Ma potrebbe anche essere qualcosa basata sul concetto del cono che regge il gelato: un materiale sostenibile che sparisce senza lasciare nessun residuo. Un imballaggio del genere potrebbe anche essere di bioplastica, posto che questa sia veramente sostenibile. Questo dipende, a sua volta, dalla capacità che avremo di trasformare l’agricoltura attuale in un’agricoltura sostenibile. E’ una sfida immensa dalla quale dipende la nostra stessa sopravvivenza a lungo termine; ben più importante della sopravvivenza dei sacchetti del supermercato!
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Nota: un concetto che è stato espresso più volte nei commenti è il fatto che il mais andrebbe usato per scopi alimentari piuttosto che per fare imballaggi. E’ stato detto che l’ uso improprio del mais e di altri cereali per scopi non alimentari potrebbe essere la ragione dell’attuale peggioramento della situazione alimentare mondiale. Questa critica è giusta in termini generali, ma poco rilevante nel caso del MaterBi. Tenete conto che un sacchetto di MaterBi pesa circa 15 grammi. Anche considerando di sprecarli senza troppo preoccuparsene, è difficile che una persona ne usi più di qualche chilo in un anno. Confrontate con il peso di un solo pieno di biodiesel - almeno 30-40 kg - e vedete che non è il MaterBi che può causare una carestia planetaria.