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Le formiche non accendono i fiammiferi

15 agosto 2009 0 commenti

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In uno dei tanti convegni sull’energia dove mi capita di andare, mi sono messo a discutere con un fisico nucleare sulla questione della fusione controllata. Una cosa di quella discussione mi è rimasta in mente. “Vedi,” mi ha detto, ” la fusione nucleare potrebbe essere per noi umani come il fuoco per le formiche. Delle formiche intelligenti potrebbero benissimo trovare il modo di accendere un fuoco, ma non potrebbero utilizzarlo in pratica”.

Mi dispiace che non ricordo più il nome della persona che mi ha detto questa cosa(*), ma il paragone mi sembra estremamente calzante. Siamo riusciti ad accendere la fusione nucleare facendone delle bombe ma, in ormai più di mezzo secolo, non siamo riusciti ad utilizzarla in un modo pratico. Può darsi benissimo che non ce ne sia uno;  perlomeno finché la nostra civilizzazione (il nostro formicaio) rimane quello che è oggi. Siamo un po’ come delle formiche che hanno trovato una scatola di fiammiferi. Sono anche risucite ad accenderne qualcuno, ma con questo sono riuscite soltanto a farsi male.

Questo concetto mi è tornato in mente leggendo il libro di Charles Seife “Il sole in una bottiglia”. Libro veramente ben fatto; a tal punto che credevo che Seife fosse un fisico nucleare – solo dopo mi sono accorto che è un giornalista. Il livello qualitativo dell’informazione scientifica in lingua inglese è stratosferico in confronto al nostro.

Seife ripercorre il concetto di fusione nucleare a partire dai primi tentativi – da quell’Edward Teller che si è portato addosso per tutta la vita, apparentemente senza troppo penare,  il fardello di aver inventato la bomba a fusione. Per sua e nostra fortuna, la bomba termonucleare non è mai stata usata come arma e altre sue diavolerie tipo le “guerre stellari” di Reagan per fortuna non hanno funzionato. Ma, mentre la bomba a fusione ha funzionato al primo colpo, imbrigliare la fusione nucleare in una forma utilizzabile è una storia di fallimenti.

Il confinamento a plasma e il confinamento inerziale, sono stati tentativi ben finanziati e realizzati con tutto il supporto della scienza ufficiale che, nonostante tutto, non hanno portato a niente di pratico. Forse è a causa della disperazione che poi sono venuti fuori i tentativi come la “fusione fredda” di Pons e Fleischmann, i due grandi cialtroni. Da li’, è nata una serie di follie ricorrenti che ha culminato recentemente con la “fusione a bolle”; anche quella il risultato di un errore sperimentale ma che, curiosamente, genera seguaci anche oggi in Italia. (vedi questo curioso rapporto del Corriere).

Certo, rimane sempre l’ultimo tentativo, quello dell’ “ITER,” il reattore internazionale che si spera possa arrivare al famigerato “break-even”, ovvero ad ottenere più energia dalla reazione di quanta ce ne voglia per far partire la reazione stessa. Si prevede che potrebbe entrare in funzione – forse – nel 2018. Ammesso che ITER riesca ad ottenere gli obbiettivi previsti, cosa per niente ovvia vista la serie di fallimenti che lo hanno preceduto, non saremo ancora a niente. Saremmo semplicemente a una dimostrazione di fattibilità, più o meno quello che aveva fatto Enrico Fermi per la fissione nel 1942. La differenza è che Fermi il suo esperimento lo fece in un laboratorio universitario a Chicago realizzando il tutto in pochi mesi e con un finanziamento incomparabilemente inferiore ai 10 miliardi di dollari che si prevede che (se va bene) sarà il costo del reattore ITER. Quanto tempo (e quanti soldi) ci vorrebbero per andare dalla dimostrazione di fattibilità dell’ITER (se ci sarà) a qualcosa che sia economicamente sfruttabile? Ce la potremmo fare per la fine del ventunesimo secolo? O forse dovremmo aspettare di essere nel ventiduesimo? E come risolviamo il problema dell’energia nel frattempo?

Il tema del libro di Seife è proprio questo: la fusione nucleare è un sogno irrealizzabile in pratica. E’ quel sogno dell’energia “troppo a buon mercato per valer la pena di farla pagare agli utenti” (”too cheap to meter”) di cui si vageggiava negli anni ‘50. Con l’esaurimento dei fossili ormai al galoppo, non possiamo più perderci dietro ai sogni.  Le formiche non accendono i fiammiferi (e, se lo fanno, si bruciano).

* Nota aggiunta posteriormente: l’originatore del concetto che le formiche non usano il fuoco è il Prof. Pietro DalPiaz che l’ha espresso al convegno “facciamo luce sull’energia” a Piacenza. Ringrazio Nicolò Macellari per avermi ricordato nome e evento.