Non è colpa di Sauron! Il rapporto di Federambiente sugli inceneritori
E’ disponibile il rapporto di Federambiente sulle emissioni di alcuni impianti di combustione in termini di concentrazione di particolato fine o “ultrafine”. E’ un rapporto complessivamente interessante anche se, va detto, il primo impatto può essere disastroso. La “sintesi per la stampa“; un buon esempio di come non scrivere un rapporto scientifico. Termini non definiti, unità di misura non specificate, un grafico in cui si compara una città di nome “Brescia” a una di nome “Gasolio” (chissà quanti abitanti ha?). Insomma un disastro. Questo deve avere qualcosa a che vedere con il basso livello del giornalismo scientifico in Italia, ma non entriamo in questo argomento. La musica cambia se vi andate a vedere, invece, la “sintesi tecnica” del rapporto di Federambiente. Questo è stato scritto da qualcuno competente. E’ soltanto la sintesi di un rapporto completo che per ora non sembra disponibile, ma è sufficiente per capire i metodi e i risultati dello studio.
Il rapporto di Federambiente è uno studio sperimentale delle emissioni di microparticelle di alcuni impianti di combustione. Gli autori hanno utilizzato un sistema di misura che conta direttamente le particelle emesse e ne misura le dimensioni. Oltre ad alcuni inceneritori di concezione moderna, Bologna, Brescia e Milano, hanno esaminato motori a gasolio, caldaie a pellet e altri tipi di impianti. I risultati sono riportati in funzione della concentrazione del particolato.
Possiamo anche dire che cosa il rapporto di Federambiente non è. Ovvero, non lo si deve intendere come uno studio generale degli effetti degli inceneritori sulla salute umana. Non esamina cose come la composizione delle particelle emesse, gli inquinanti non in forma di particelle, l’effetto del particolato in forma di ceneri residue e altre cose, incluso il cosiddetto “particolato secondario”; ovvero il risultato della ricombinazione di inquinanti gassosi nell’atmosfera. Infine, il confronto dello studio è valido soltanto per inceneritori moderni. Non è detto che lo sia per la vecchia generazione di inceneritori, in particolare per quelli che usano filtri elettrostatici e non quelli a tessuto, più efficaci nel trattenere il particolato fine.
Quindi, gli obbiettivi dello studio erano molto limitati, ma anche molto specifici: verificare la quantità di polveri fini e ultrafini (le cosiddette “nanopolveri”) emesse dagli inceneritori e comparare i risultati con quelli di altri tipi di impianti a combustione. Lo studio dimostra che le emissioni di particolato fine da parte degli inceneritori sono basse in confronto a quelle di altri sistemi, in particolare pellet e gasolio, più alte invece di quelle degli impianti a metano. Un risultato sostanzialmente già noto, ma che qui viene quantificato e correlato a impianti presenti sul territorio italiano.
Partendo da questo dato sperimentale, si tratta di valutarne le conseguenze. Il fatto che le emissioni di particolato fine siano relativamente basse vuol dire che gli inceneritori non fanno male alla salute? Questa è una domanda alla quale soltanto gli studi epidemiologici possono rispondere. Su questo punto, il rapporto Federambiente non porta evidenze sperimentali. Tuttavia, la letteratura scientifica esistente ci dice sostanzialmente due cose: 1) esiste ampia evidenza che le polveri fini sono dannose per la salute umana 2) esiste un’evidenza più limitata, ma abbastanza chiara, che gli inceneritori sono dannosi alla salute (questa evidenza, va detto, è principalmente legata a impianti di vecchia concezione).
Nel rapporto Federambiente, gli autori discutono correttamente la letteratura esistente, ma da un punto di vista molto specifico. Ovvero, si chiedono se esiste evidenza epidemiologica che le polveri fini emesse dagli inceneritori sono dannose per la salute umana. Definita così la questione, non si trova nella letteratura internazionale una correlazione chiara. Questo porta gli autori a concludere che:
“Il contesto conoscitivo che emerge da questo studio evidenzia come non esistano allo stadio attuale elementi scientifici, nè probanti nè sospetti, per escludere a priori questa tecnica di smaltimento e recupero di energia a causa del ruolo presunto delle emissioni sulle presenze atmosferiche del particolato fine e delle nanopolveri”
Questo è lanciarsi decisamente troppo. Gli autori si dimenticano della regola che l’assenza di evidenza non significa evidenza di assenza. In pratica, loro stessi ci dicono che a) le polveri fini sono dannose alla salute e b) gli inceneritori emettono polveri fini. La conseguenza logica è che gli inceneritori sono dannosi alla salute anche per via delle polveri fini. L’assenza di dati epidemiologici certi vuol dire soltanto che l’effetto è troppo piccolo per essere rilevabile.
Si può certamente sostenere che l’effetto dovuto alle emissioni di inceneritori moderni in un ambiente urbano è piccolo, o anche molto piccolo, rispetto a quello di altre fonti di inquinamento. Però, non possiamo dire che sia zero e dobbiamo ricordarci della massima che è alla base della medicina: “primum non nocere” ovvero, “per prima cosa non fare danni”. Sappiamo che negli ambienti urbani ci sono concentrazioni di particolato fine decisamente eccessive e dannose per la salute. La conseguenza logica è che dovremmo astenerci dall’aggiungere nuove fonti di particolato a una situazione dove ce n’è già troppo.
Vediamo quindi che il rapporto di Federambiente, se letto in modo corretto, ci porta elementi che dovrebbero rafforzare l’opinione che non è una buona idea costruire nuovi inceneritori e che – se non altro a lungo termine – sarebbe bene eliminare gradualmente quelli esistenti. Questo tipo di atteggiamento sembra quello generalmente accettato in altri paesi. Tuttavia, nel contesto del dibattito che si è svolto e che si sta svolgendo in Italia, i risultati dello studio di Federambiente possono essere visti come fortemente a favore della costruzione di nuovi inceneritori.
Il problema è che una certa sezione del movimento ambientalista italiano si è concentrata sulla demonizzazione degli inceneritori basandosi quasi esclusivamente sulle emissioni di polveri fini come causa delle cosiddette “nanopatologie”. Altre fonti di inquinamento, sicuramente più importanti, quali il traffico automobilistico, non sono state considerate stessa misura. Ovvero, si sono visti comitati anti-inceneritori molto attivi e in gran numero ma nessuno contro le stufe a pellet o le automobili diesel.
Questo di demonizzare gli inceneritori è un atteggiamento sotto certi aspetti comprensibile: prendersela, per esempio, contro le automobili vorrebbe dire dover cambiare abitudini e questo è faticoso. E’ molto più semplice prendersela con un obbiettivo più remoto e poco conosciuto – l’inceneritore – la cui assenza non porta nessun cambiamento immediato. Comprensibile, appunto, ma non una buona idea perché trascura fonti di inquinamento importanti sulle quali si potrebbe e si dovrebbe lavorare, per esempio sostituendo il traffico veicolare basato su motori a combustione con veicoli a trazione elettrica.
Va detto che non tutti gli oppositori alla costruzione di nuovi inceneritori hanno preso questa posizione estrema. Al contrario, molti hanno lavorato seriamente proponendo e realizzando soluzioni alternative per la gestione dei rifiuti, come pure per la riduzione dell’inquinamento urbano. Ma la stampa ha enfatizzato la lotta al “mostro” e c’è stato chi ci si è lanciato sopra veramente con troppa foga basandosi su un evidenza debole ed episodica. E’ vero che i risultati di studi di Stefano Montanari e Antonietta Gatti indicano una correlazione fra tumori e nanoparticelle; ma non c’è evidenza che queste particelle provengano dall’incenerimento dei rifiuti, e neppure la si potrebbe ottenere da studi che esaminano direttamente i tessuti tumorali.
Questa vicenda ci dimostra una volta di più quanto sia importante la correttezza scientifica nel dibattito. E’ una cosa che andrebbe ricordata anche nel caso di altre “bestie nere” degli ambientalisti, come – per esempio – gli OGM, i campi elettromagnetici o l’energia nucleare. A lungo andare, la demonizzazione basata su dati e interpretazioni scorrette o fantasiose finisce per favorire proprio quello che alcuni vorrebbero demolire. Del resto, se c’è chi scrive libri intitolati “le bugie degli ambientalisti” (e chi li compra) ci deve ben essere una ragione.
Tornando agli inceneritori, il problema delle emissioni di particolato fine esiste e certamente non lo si deve trascurare. Ma ci sono altri elementi che dovremmo considerare nel valutare l’incenerimento come metodo di smaltimento dei rifiuti. Dobbiamo tener conto che incenerire è un metodo molto inefficiente per produrre energia. Inoltre, distrugge (o comunque trasforma in forme non più riciclabili) utili materie prime che poi dovremo comunque rimpiazzare. Queste sono ragioni importanti che ci portano alla conclusione che l’incenerimento dei rifiuti non è una buona idea. Stabilito questo punto, dobbiamo dimostrare come si può fare a meno degli inceneritori. E’ possibile, ed è stato fatto. Ci vorrà un po’ di tempo, ma lavorando con costanza e pazienza (e evitando le facili demonizzazioni) finiremo per arrivarci.
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Nota: nel dibattito sul rapporto di Federambiente, ho sentito esprimere l’opinione che lo si debba scartare a priori dato che gli autori dello studio sono impegnati in studi ricerche sull’incenerimento dei rifiuti pagati anche dalle industrie che gestiscono gli inceneritori. Attenzione: prendendo questa posizione ci si trincera dietro un paraocchi ideologico che rifiuta a priori di considerare le opinioni diverse dalle proprie. Se entriamo in questo genere di considerazioni si va a un gioco al massacro senza uscita. Tutti abbiamo le nostre opinioni; le cose che non ci piacciono e le cose che ci piacciono. Però, i lavori scientifici vanno valutati per i loro metodi e per i loro risultati, non in base alle presunte idee preconcette degli autori.