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Economia basata sul metanolo: è una buona idea?

5 settembre 2009 0 commenti

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In un post del 2006, mi ero detto piuttosto scettico – anche se possibilista – sulle possibilità pratiche dell’idea proposta da George Olah sul concetto di “Economia basata sul metanolo”.  In quel post, l’idea era giudicata sulla base dei comunicati stampa disponibili. In questa estate del 2009,  tuttavia, mi sono procurato il libro di Olah, Goeppert e Prakash (Wiley 2006) per vedere di capire meglio e più a fondo la faccenda. Dalla lettura, sono uscito tuttora scettico anche se più informato.

Olah propone di utilizzare il metanolo (CH3OH) più o meno con la stessa “filosofia” che Rifkin ha proposto per l’idrogeno. Ovvero come mezzo di stoccaggio e trasporto dell’energia. Il metanolo – come l’idrogeno – potrebbe essere ottenuto sia da fonti non rinnovabili che rinnovabili. Nel secondo caso, sarebbe un combustibile pulito e sostenibile. Rispetto all’idrogeno ha il vantaggio di essere molto più facilmente immagazzinabile e trasportabile. Con poche modifiche, potrebbe essere utilizzato dai veicoli esistenti e potrebbe anche fare da “feedstock” per produrre materie plastiche, gomme e tutta una serie di prodotti che oggi si fanno dal petrolio.

La mia critica all’idea era che non si sa quanto questi processi siano efficienti e che la necessità di sostituire il petrolio il prima possibile ci dvrebbe spingere a investire tutto quello che abbiamo sulle rinnovabili prima di lanciarci in schemi grandiosi come l’economia basata sul metanolo o sull’idrogeno. Ma, a parte questo, cosa dire dei dettagli?

Per prima cosa, il libro di Olah et al. si rivela estremamente deludente. Prima di arrivare al nocciolo della faccenda devi sorbirti 10 capitoli (168 pagine) dove gli autori descrivono le energie fossili, le energie rinnovabili, i cambiamenti climatici e tante altre cose nel complesso ben note. Va bene che per proporre una soluzione bisogna anche stabilire qual’è il problema, ma queste 168 pagine dedicate alla fotografia della situazione attuale sono decisamente troppe su un libro di 257 pagine di testo.

In più, la qualità della trattazione di Olah e gli altri è decisamente carente. Gli autori hanno fatto un discreto sforzo per documentarsi, ma la loro esposizione rimane vaga e qualitativa – quando non direttamente errata. Per fare un esempio, leggiamo a pagina 85 che

L’uso dell’energia solare richiede la produzione di celle solari fotovoltaiche e la gran quantità di energia necessaria può derivare dai combustibili fossili. Il processo coinvolge anche l’uso di materiali pericolosi come il cadmio e l’arsenico. L’uso estensivo dell’energia fotovoltaica implicherebbe anche grandi aree di territorio coperte da pannelli che assorbono la luce.

Questo non è che sia sbagliato (a parte che i pannelli che contengono arsenico non ci sono sul mercato; o perlomeno solo in quantità infinitesimale). Ma vedete come è vago? “Gran quantità di energia”, ma quanta? “Grandi aree”, ma quanto grandi esattamente? Uno potrebbe pensare che queste cose siano descritte più in dettaglio nel seguito, e invece no. Rimane sempre vago e qualitativo.

In sostanza, non si può discutere seriamente di energia se non ci si basa sul concetto di “Ritorno energetico sull’investimento” e questa è una cosa che gli autori non menzionano mai e che – evidentemente – gli è proprio sfuggita. E un po’ come scrivere un testo di economia senza mai menzionare il concetto di “interesse sul capitale” .

Con questa carenza di base, la mancanza dei dati sull’EROEI, tutti i primi 10 capitoli del libro sono solo una digressione dove gli autori esprimono le loro opinioni, ma non le giustificano mai in modo quantitativo. Per esempio, gli piace l’energia nucleare e non le rinnovabili, ma non spiegano perché, salvo dire  che è una cosa “razionale”. In sostanza, 168 pagine sprecate.

Le cose cambiano a partire dal decimo capitolo, dove gli autori cominciano a far valere la loro grande competenza in chimica organica. I capitoli dal 10 al 14 non sono di facile lettura se non vi ricordate un po’ di chimica organica, ma sono approfonditi e anche affascinanti. In sostanza, gli autori riescono a spiegare molto bene come, facendo reagire il CO2 con acqua o con idrogeno, si possa ottenere metanolo e da li riuscire a fare più o meno tutto quello che si fa oggi partendo dal petrolio, gas o carbone.

La cosa interessante è la possibilità di creare metanolo assorbendo CO2 dall’aria, come fanno le piante. Utilizzando energia rinnovabile per spingere queste reazioni, sarebbe possibile ottenere un’economia completamente sostenibile, basata su una versione artificiale del ciclo biologico del CO2.

Le possibilità sono notevoli. Partendo dal metanolo si possono fare combustibili, plastiche, gomme e tutte le cose alle quali siamo abituati oggi. Ma si può fare anche di più; per esempio gli autori notano come il metanolo possa essere digerito dai batteri e trasformato in proteine. Non è chiaro se queste proteine siano alimenti per gli esseri umani ma, nel passato, sono state utilizzate come mangime per animali. Se si riuscisse a creare proteine artificiali in modo più efficiente di quanto fa la natura, non sono sicuro di quali sarebbero le conseguenze e se queste sarebbero veramente desiderabili, ma sicuramente parecchie cose cambierebbero su questo pianeta.

Un schema molto interessante, quindi. Si, ma rimane la critica che facevo nel mio post precedente e che è la stessa che ho fatto più di una volta a Rifkin e alla sua economia basata sull’idrogeno. Quanto ci costa tutto l’ambaradan?

Anche su questo punto, il libro di Olah e coautori si rivela molto deludente. Ci sono tante belle reazioni chimiche, ma spesso non ci sono le rese e quasi sempre mancano dei calcoli energetici e economici di quanto efficienti sono i vari processi. Soprattutto, il concetto chiave di tutta la faccenda, il recupero e l’attivazione del CO2 atmosferico, è appena accennato nel libro – quasi di sfuggita. Al contrario, gli autori sembrano pensare di recuperare il CO2 dagli impianti di combustione esistenti, carbone o idrocarburi fossili.

Ma senza il recupero del CO2 dall’atmosfera o, perlomeno, dalla biomassa, tutto lo schema è un assurdità. Pensateci un attimo:  prima bruciamo gli idrocarburi trasformandoli in CO2 per ottenere energia. Poi trasformiamo la CO2 in idrocarburi ( o metanolo) spendendo energia. Dopodiché, ribruciamo di nuovo questi idrocarburi in altri motori termici. Che cos’è, il gioco dell’oca? Ricorda la barzelletta dell’economista che voleva risolvere il problema della disoccupazione mettendo metà delle persone a scavare buche e l’altra metà a riempirle.

Ci può essere una logica nel trasformare lo scarico di una centrale a carbone in un combustibile liquido, ovvero metanolo. Anche se il ciclo richiederà energia piuttosto che produrla, il valore economico del combustibile può giustificare la scelta. Ma è una scelta perversa che rischia di valorizzare economicamente le centrali a carbone in un momento in cui abbiamo invece disperatamente bisogno di chiuderle per evitare ulteriori danni all’atmosfera.

Nonostante tutto, comunque, il concetto di Olah rimane interessante se applicato nella sua versione “sostenibile”, ovvero utilizzando CO2 assorbito dall’atmosfera. Se mai arriveremo a un mondo basato principalmente sull’energia rinnovabile intesa come sole e vento, avremo pur sempre bisogno di cose come materie plastiche, gomme, bitumi, e – in certi casi – di combustibili liquidi. In un mondo del genere l’unico modo per ottenerle sarà per attivazione del CO2 atmosferico. Può darsi che troveremo un modo artificiale più efficiente di quello naturale, oppure no. A seconda dell’efficienza dei processi di sintesi, cose come la gomma potrebbero rivelarsi molto costose – ma comunque saranno disponibili. La strada rimane quella e se ci muoviamo verso le rinnovabili non ci mancherà niente.