Bimillenario della battaglia di Teutoburgo
Duemila anni fa, probabilmente dal 9 all'11 Settembre del 9 d.c., si combatteva la battaglia di Teutoburgo che segnò l'arresto dell'espansione dell'Impero Romano in Europa. Il "picco dell'impero" per così dire.
I bimillenari non sono tanto comuni, per cui mi è parso il caso di segnalare questa ricorrenza di cui ho parlato estesamente in un lungo post. Sono migliaia di anni che imperi e civiltà nascono e muoiono, una cosa che hanno in comune è quella di avere una durata limitata, un'altra è quella di credersi eterni. La nostra non fa eccezione.
Qui di seguito, riproduco la descrizione della battaglia di Teutoburgo che avevo scritto in un post di qualche mese fa.
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Teutoburgo, la fine di un impero
Di Ugo Bardi
Duemila anni fa, nell'anno 9 a.d., la sconfitta di Teutoburgo fu, in un certo senso, il picco di una civiltà che aveva basato la sua prosperità sulle guerre di conquista. Già circa mezzo secolo prima, nel 53 a.c., l'Impero Romano aveva subito una tremenda battuta di arresto a Carrhae, in Asia Minore. Fu una sconfitta che mise la parola fine al sogno di espandersi nelle ricche terre asiatiche, come aveva fatto Alessandro Magno qualche secolo prima.
Ma, anche dopo Carrhae, l'Impero Romano rimaneva un'immensa macchina militare sempre alla ricerca di nuove terre da conquistare. In Europa, dopo la Spagna e la Gallia, l'obbiettivo che rimaneva era la Germania: terra vasta e scarsamente abitata; apparentemente un bersaglio facile. Così, al tempo di Cesare Augusto, tre legioni romane sotto il comando di Publio Quintilio Varo varcarono il confine dell'impero addentrandosi in Germania. Fu un disastro militare inaspettato. Impreparate a combattere un nemico che usava tattiche che oggi chiameremmo di guerriglia, le tre legioni furono massacrate fino all'ultimo uomo in una feroce battaglia nei boschi di Teutoburgo.
Teutoburgo fu molto di più di una semplice sconfitta militare. Fu la dimostrazione della debolezza intrinseca dell'Impero Romano. Anche le guerre di conquista hanno una loro resa economica: il rapporto fra quello che si ottiene con il saccheggio e quello che costa la guerra. Fino ad allora, l'impero si era arricchito conquistando terre ricche e relativamente deboli dal punto di vista militare. Ma in Germania la situazione era cambiata: c'era poco da saccheggiare in un paese dove non c'erano città degne di nota. In più, i Germani erano combattenti feroci e determinati e il costo di una invasione militare era in ogni caso molto alto. Anche se la battaglia di Teutoburgo fosse andata in un altro modo, conquistare la Germania era impossibile per i Romani. Semplicemente mancavano loro le risorse economiche necessarie.
Questa impossibilità di conquistare la Germania si sarebbe vista qualche anno dopo Teutoburgo, quando i Romani invasero di nuovo la Germania, questa volta ottenendo una serie di vittorie. Ma i Romani non riuscirono a sottomettere la Germania e nemmeno ad attestarsi stabilmente al di là del fiume Reno. Queste vittorie furono del tutto inutili, anzi, furono uno spreco di risorse preziose per un Impero in chiare difficoltà economiche. In effetti, si potrebbe sostenere che i Germani a Teutoburgo abbiano fatto un piacere ai Romani, liberandoli di tre legioni ormai del tutto inutili ma che comunque andavano nutrite, equipaggiate e stipendiate.
Ma non fu certamente così che i Romani videro la sconfitta di Teutoburgo. Fu uno shock durissimo. A Carrhae, Roma si era scontrata con un altro impero di pari portata e simili ambizioni - la sconfitta si poteva ancora interpretare come un incidente di percorso. Ma che tre legioni Romane fossero state annientate a Teutoburgo da dei selvaggi primitivi era una cosa impensabile; un rivolgimento totale di tutti paradigmi accettati fino ad allora. Tale fu l'impressione che ne nacque la leggenda di Cesare Augusto che, nella notte, vagava per il suo palazzo mormorando "Varo, Varo, rendimi le mie legioni." Dione Cassio (155 –ca. 229) ci racconta che:
Augusto quando seppe quello che era accaduto a Varo, stando alla testimonianza di alcuni, si strappò la veste e fu colto da grande disperazione non solo per coloro che erano morti, ma anche per il timore che provava per la Gallia e la Germania, ma soprattutto perché credeva che i Germani potessero marciare contro l'Italia e la stessa Roma. Dato che non c'erano cittadini in età militare rimasti in numero importante e le forze alleate che contavano avevano molto sofferto.
Tuttavia, inizio dei preparativi al meglio possibile viste le circostanze, e quando nessuno in età militare si mostrò pronto a prendere le armi, li costrinse a tirare a sorte, arruolando un uomo ogni cinque di quelli sotto i 35 anni e uno ogni dieci di quelli che avevano passato quell'età. Infine, dato che molti non gli davano retta, ne mise a morte alcuni ... Siccome a Roma vi era un numero elevato di Galli e Germani, alcuni di loro nella Guardia Pretoriana e altri che ci vivevano per varie ragioni, temette che potessero insorgere. Perciò cacciò via in certe isole quelli che erano nella sua guardia personale e ordinò a quelli che non portavano armi di lasciare la città.
In queste poche righe, troviamo una descrizione impressionante di un momento di caos e di smarrimento. Roma cercava di reagire sul piano militare alla disfatta, ma cadeva anche preda di un momento di xenofobia con la cacciata dei Galli e dei Germani. E' una cosa del tutto atipica dell'antico impero che, per quasi tutta la sua storia, fu tollerante e aperto a tutti.
Ma, anche dopo Carrhae, l'Impero Romano rimaneva un'immensa macchina militare sempre alla ricerca di nuove terre da conquistare. In Europa, dopo la Spagna e la Gallia, l'obbiettivo che rimaneva era la Germania: terra vasta e scarsamente abitata; apparentemente un bersaglio facile. Così, al tempo di Cesare Augusto, tre legioni romane sotto il comando di Publio Quintilio Varo varcarono il confine dell'impero addentrandosi in Germania. Fu un disastro militare inaspettato. Impreparate a combattere un nemico che usava tattiche che oggi chiameremmo di guerriglia, le tre legioni furono massacrate fino all'ultimo uomo in una feroce battaglia nei boschi di Teutoburgo.
Teutoburgo fu molto di più di una semplice sconfitta militare. Fu la dimostrazione della debolezza intrinseca dell'Impero Romano. Anche le guerre di conquista hanno una loro resa economica: il rapporto fra quello che si ottiene con il saccheggio e quello che costa la guerra. Fino ad allora, l'impero si era arricchito conquistando terre ricche e relativamente deboli dal punto di vista militare. Ma in Germania la situazione era cambiata: c'era poco da saccheggiare in un paese dove non c'erano città degne di nota. In più, i Germani erano combattenti feroci e determinati e il costo di una invasione militare era in ogni caso molto alto. Anche se la battaglia di Teutoburgo fosse andata in un altro modo, conquistare la Germania era impossibile per i Romani. Semplicemente mancavano loro le risorse economiche necessarie.
Questa impossibilità di conquistare la Germania si sarebbe vista qualche anno dopo Teutoburgo, quando i Romani invasero di nuovo la Germania, questa volta ottenendo una serie di vittorie. Ma i Romani non riuscirono a sottomettere la Germania e nemmeno ad attestarsi stabilmente al di là del fiume Reno. Queste vittorie furono del tutto inutili, anzi, furono uno spreco di risorse preziose per un Impero in chiare difficoltà economiche. In effetti, si potrebbe sostenere che i Germani a Teutoburgo abbiano fatto un piacere ai Romani, liberandoli di tre legioni ormai del tutto inutili ma che comunque andavano nutrite, equipaggiate e stipendiate.
Ma non fu certamente così che i Romani videro la sconfitta di Teutoburgo. Fu uno shock durissimo. A Carrhae, Roma si era scontrata con un altro impero di pari portata e simili ambizioni - la sconfitta si poteva ancora interpretare come un incidente di percorso. Ma che tre legioni Romane fossero state annientate a Teutoburgo da dei selvaggi primitivi era una cosa impensabile; un rivolgimento totale di tutti paradigmi accettati fino ad allora. Tale fu l'impressione che ne nacque la leggenda di Cesare Augusto che, nella notte, vagava per il suo palazzo mormorando "Varo, Varo, rendimi le mie legioni." Dione Cassio (155 –ca. 229) ci racconta che:
Augusto quando seppe quello che era accaduto a Varo, stando alla testimonianza di alcuni, si strappò la veste e fu colto da grande disperazione non solo per coloro che erano morti, ma anche per il timore che provava per la Gallia e la Germania, ma soprattutto perché credeva che i Germani potessero marciare contro l'Italia e la stessa Roma. Dato che non c'erano cittadini in età militare rimasti in numero importante e le forze alleate che contavano avevano molto sofferto.
Tuttavia, inizio dei preparativi al meglio possibile viste le circostanze, e quando nessuno in età militare si mostrò pronto a prendere le armi, li costrinse a tirare a sorte, arruolando un uomo ogni cinque di quelli sotto i 35 anni e uno ogni dieci di quelli che avevano passato quell'età. Infine, dato che molti non gli davano retta, ne mise a morte alcuni ... Siccome a Roma vi era un numero elevato di Galli e Germani, alcuni di loro nella Guardia Pretoriana e altri che ci vivevano per varie ragioni, temette che potessero insorgere. Perciò cacciò via in certe isole quelli che erano nella sua guardia personale e ordinò a quelli che non portavano armi di lasciare la città.
In queste poche righe, troviamo una descrizione impressionante di un momento di caos e di smarrimento. Roma cercava di reagire sul piano militare alla disfatta, ma cadeva anche preda di un momento di xenofobia con la cacciata dei Galli e dei Germani. E' una cosa del tutto atipica dell'antico impero che, per quasi tutta la sua storia, fu tollerante e aperto a tutti.
Dopo Teutoburgo, l'Impero Romano non aveva ancora del tutto esaurito la sua spinta militare e riuscì ancora ad espandersi in Britannia e - molto più tardi - nella Dacia. Ma un'epoca era finita per sempre: l'impero non riusciva più ad ottenere dalla guerra risorse sufficienti per lanciarsi in sempre nuove conquiste. Iniziava la fase in cui Roma cominciava a chiudersi entro i limes: grandi fortificazioni che dovevano metterlo al riparo dalle invasioni barbariche. L'impero non si vedeva più come un predatore ma come una preda. Si metteva da solo dentro una gabbia dalla quale non sarebbe mai più riuscito a uscire.
La fase che ne seguì fu, in un certo senso, un crepuscolo dorato. Relativamente al sicuro entro la cinta delle fortificazioni, l'Impero viveva un periodo di relativa pace e prosperità sotto la dinastia degli Antonini. I Romani abbandonarono anche la fase di xenofobia di cui ci parla Dione Cassio. Ma il destino dell'impero era comunque segnato: con il graduale esaurimento delle risorse accumulate nella sua fase di espansione, a lungo andare l'Impero doveva sparire.
Il collasso degli imperi segue delle linee che sono comuni a tutti i casi storici che conosciamo. Così, la storia dell'Impero Romano ci può servire - con cautela - come uno specchio in cui vedere qualcosa del nostro futuro. Gli imperi collassano per l'esaurimento delle risorse che li sostengono; per i Romani erano le conquiste militari, per noi sono le risorse minerali. In entrambi i casi, l'esaurimento era ed è inevitabile e, di conseguenza, il collasso. La reazione dei Romani alla sconfitta di Teutoburgo ci ricorda molto la nostra situazione odierna. Sia oggi come allora, si cerca di reagire alle difficoltà incrementando gli sforzi, ma sempre nella stessa direzione; senza riuscire a capire le vere ragioni delle crisi. Per i Romani, il problema era solo militare e cercavano di risolverlo usando le risorse rimaste per costruire possenti fortificazioni. Per noi, il problema è l'esaurimento delle risorse minerali e cerchiamo di risolverlo usando le risorse rimaste scavando più in fondo e sempre più lontano.
Le società umane non riescono quasi mai a rendersi conto della necessità di cambiare. Tendono, anzi, a sprecare energie preziose prendendosela con il primo capro espiatorio che capita sotto mano. Così, la cacciata dei Galli e dei Germani da Roma dopo la battaglia di Teutoburgo ricorda molto l'ondata di xenofobia che vediamo oggi. I Romani superarono questa fase e, forse, toccherà anche a noi un crepuscolo dorato paragonabile all'era degli Antonini. Ma il collasso delle strutture che conosciamo è inevitabile. Il mondo cambia sempre e, se il nuovo deve arrivare, qualcosa di vecchio deve sparire. Sic transit gloria mundi.