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Fotovoltaico a concentrazione: è una buona idea?

18 settembre 2009 0 commenti

Di Ugo Bardi

cellePVbelfast

L’autore con un pannello fotovoltaico a concentrazione sviluppato all’università di Belfast.

Qualcuno dovrebbe fare un elenco, prima o poi, delle tante bestialità che si sentono dire sull’energia fotovoltaica. La più classica è quella che “ci vuole più energia per costrire i pannelli di quanta ne rendano poi nel corso della loro vita operativa”. Ma non è male come bestialità anche quella che “si degradano e non producono più niente in pochi anni”.

Una più sottile ha a che fare con la resa tipica dei pannelli basati sul silicio che è del 15%-20% Apparentemente, c’è chi compara con le rese dei motori termici e il 20% gli sembra poco in confronto. Ho sentito proprio qualche settimana fa questo fatto raccontato da un assessore come un difetto irreparabile dei pannelli fotovoltaici. Ma c’è una piccola differenza: in un motore termico, la resa è data in termini di carburante consumato, e il carburante costa soldi. In un impianto fotovoltaico la resa è data in termini di luce solare convertita e la luce solare non costa niente.

Così, la resa economica e energetica di un impianto fotovoltaico non è determinata dalla resa di conversione delle celle. Normalmente è molto più importante la resa energetica; ovvero quanta energia i pannelli producono in confronto all’energia spesa per produrli. Questa resa energetica si trasforma poi in resa economica. Ovviamente, rese troppo basse richiedono grandi aree per installare i pannelli e, a quel punto, è la struttura di sostegno che diventa costosa. Quindi non ha senso usare pannelli con rese sotto il 7%-8%. Tuttavia, oggi la resa economica migliore non corrisponde per niente alla massima resa di conversione: la troviamo probabilmente nei pannelli al tellururo di cadmio (CdTe) che hanno rese sotto il 10%.

Questa confusione fra resa di conversione e resa energetica è a volte all’origine per l’entusiasmo che hanno alcuni per i pannelli fotovoltaici a concentrazione. In effetti, concentrando la luce solare con degli specchi o delle lenti, si può ottenere molta più energia da una singola cella e quindi se ne possono usare di meno. In più, in linea di principio, si potrebbero usare celle ad alta resa, come quelle all’arseniuro di gallio, che sono troppo costose per un uso convenzionale.

In principio, parrebbe una buona idea ma, evidentemente, ci sono dei problemi. Mi ricordo di un colloquio che ho avuto svariati anni fa con un collega israeliano che aveva messo a punto un sistema fotovoltaico a concentrazione delle dimensioni, più o meno, di un antenna parabolica da televisione. Mi aveva fatto vedere le foto del prototipo e sosteneva che questa sua invenzione avrebbe avuto una diffusione molto rapida. Mi aveva anche mostrato dei fotomontaggi dei tetti di Tel Aviv pieni di quegli aggeggi. Sono passati almeno 5 anni da allora e credo che gli aggeggi di quella forma sui tetti di Tel Aviv siano ancora soltanto antenne paraboliche.

Nella pratica il fotovoltaico a concentrazione ha una gran quantità di problemi che lo rendono costoso e poco interessante. Si comincia con il principale, che  è la manutenzione del sistema di tracciamento che è delicato e soggetto a rompersi. Poi c’è la pulizia degli specchi o delle lenti è importantissima, e questo significa la necessita di ultreriore manutenzione. Inoltre, specchi e lenti lasciati all’aperto tendono a opacizzarsi; a seconda delle condizioni locali  bisognerà sostituirli periodicamente.  Notate anche che il sistema a concentrazione funziona male quando c’è foschia, cosa comune nei nostri climi. Per finire, la concentrazione riscalda le celle e – nel caso di quelle al silicio – ne riduce l’efficienza. Tutti questi problemi fanno levitare i costi ben oltre i vantaggi dati dalla riduzione del numero di celle. L’unico vantaggio evidente che riesco a vedere di un sistema del genere è che è difficile da rubare perché chi lo ruba si deve portar via non solo i pannelli ma anche tutto il sistema di movimentazione e tracciamento. Alla fine dei conti, non sorprende che per ora non esistono sistemi commerciali a concentrazione che abbiano una diffusione commerciale.

Tuttavia, il fascino dei sistemi a concentrazione continua a generare nuovi tentativi. Sul  Sole 24 ore” del 5 Giugno 2009 abbiamo letto del lancio in pompa magna del prodotto di una nota azienda italiana definito come “fotovoltaico a concentrazione domestico”.  Sviluppato dal “premio nobel per la fisica Zhores Alferov”, l’arnese è detto “superare la soglia del 38% di efficienza, con l’obiettivo di raggiungere il 55% nell’immediato futuro”. Nell’articolo leggiamo un bel po’ di fluffa, per esempio, “Genio da Nobel e ingegneria italiana”. Ma alla fine dei conti, quanto rende l’arnese? Beh, di prezzi non ne parlano ma ci dicono che: «con gli attuali incentivi del conto energia un impianto può essere largamente ripagato in meno di dieci anni con almeno venti anni di vita operativa». Non proprio entusiasmante, (anche ammesso che sia vero), dato che un ritorno economico comparabile si può ottenere, oggi, un pannello fotovoltaico tradizionale. Sembrerebbe che qualcuno si sia fatto prendere la mano dai valori delle rese di conversione. Alti a sufficienza per far contento l’assessore di cui parlavo prima, ma, probabilmente, soltanto lui. Beh, comunque magari funziona bene: io sono scettico ma gli faccio tanti auguri.

Ma non tutto è negativo nel fotovoltaico a concentrazione. C’è una linea di sviluppo del fotovoltaico a concentrazione che promette bene: è quella di sistemi che non hanno bisogno di tracciare il sole ma usano un sistema riflettente che, comunque, aumenta la quantità di luce che arriva sulla cella. Uno che mi è capitato fra le mani recentemente è stato sviluppato al centro per le tecnologie sostenibili dell’università dell’Ulster, vicino a Belfast. E’ un sistema molto intelligente che, oltre a concentrare la luce, crea una certa ventilazione e raffredda le celle al silicio, riducendo uno dei problemi tipici dei concentratori.

Secondo i dati pubblicati, il sistema aumenta l’efficienza delle celle di circa il 60%. Questa è indubbiamente una cosa buona, ma va pesata tenendo conto del fatto che le celle vanno spaziate di più, il che vanifica sostanzialmente il guadagno se si considera la resa per unità di area di pannello. Questo, come si diceva prima, può non essere un gran problema se uno ha molto posto dove mettere i pannelli. Alla fine, si tratta di pesare il guadagno in termini di celle risparmiate con la perdita in termini della struttura che deve sostenerlo. Al momento, credo che sia abbastanza difficile stabilire con sicurezza se ne vale la pena, ma comunque è certamente qualcosa da esaminare.

Se volete saperne di più, date un occhiata a questo articolo:

Non-concentrating and asymmetric compound parabolic concentrating building fac¸ade integrated photovoltaics: An experimental comparison, Tapas K. Mallick, Philip C. Eames, Brian Norton, Solar Energy 80 (2006) 834–849

In ogni caso, quando si parla di fotovoltaico, la cosa migliore e non dar retta agli assessori.