Etiopia 1935: un’altra guerra dimenticata
I "land cruisers" in viaggio nel deserto del Sahara con il loro carico umano di deportati, in gran parte etiopici in fuga verso l'Italia. Da "Come un uomo sulla terra". Film del 2008 di Dagmawi Ymer, regista etiopico residente in Italia.
Il 3 Ottobre ricorre l'anniversario dell'inizio di una guerra della quale ci siamo quasi totalmente dimenticati: l'attacco dell'Italia all'Etiopia, 74 anni fa, nel 1935. Dopo sette mesi di guerra durissima, si arrivò all'occupazione totale dell'Etiopia e al dubbio onore per Vittorio Emanuele III di proclamarsi "Imperatore d'Etiopia".
Se ci fosse una classifica delle idiozie strategiche, probabilmente l'attacco italiano all'Etiopia figurerebbe ai primi posti. Fu un'azione disperata e auto-distruttiva di un paese che, nel 1935, si trovava in gravi difficoltà economiche. A quel tempo, l'Italia dipendeva quasi al 100% dal carbone inglese in un mondo in cui il carbone era la base di tutte le attività economiche. Ma la produzione di carbone inglese aveva raggiunto il suo picco nei primi anni '20 e l'Inghilterra non riusciva più a rifornire l'Italia come aveva fatto per almeno un secolo nel passato.
La reazione italiana alla carenza di carbone fu quella di un animale chiuso in gabbia: la ricerca disperata di nuove risorse lanciandosi a testa bassa verso il primo bersaglio disponibile. Mussolini e i suoi non capirono mai qual'era la radice del problema italiano e pensarono di risolverlo facendosi un piccolo impero. Di tutta l'Africa, non c'era che l'Etiopia ancora non occupata da qualche paese europeo e quella fu la scelta. Ma l'Etiopia era anche un paese povero e - come l'Italia - privo di risorse minerali. Conquistarlo non portava vantaggi degni di nota; solo spese. La propaganda del tempo parlò dell'Etiopia come un "posto al sole" da accaparrarsi, come se l'Italia non avesse sole a sufficienza e come se i contadini italiani avessero avuto davvero l'intenzione di trasferirsi sull'altopiano etiopico.
Mentre oggi la stupidità e l'inutilità di quella guerra ci appare ovvia, curiosamente all'epoca fu un successo mediatico senza precedenti. Per citare solo un esempio, Don Lorenzo Milani , allora un ragazzino di 13 anni, ci racconta che "saltava di gioia" alla notizia della proclamazione dell'Impero. Anche l'uso di gas venefici (che oggi chiameremmo "armi di distruzione di massa") contro gli etiopici, passò senza lasciare traccia in un opinione pubblica anestetizzata dagli inni alla vittoria. Erano i primi tentativi di usare l'arma propagandistica che, da allora, è stata molto perfezionata e raffinata.
Ma la propaganda si scontra prima o poi con la realtà e, di solito, la realtà si rivela molto più tosta. L'Impero italiano in Etiopia ha perlomeno un primato statistico: quello di essere stato l'impero di più breve durata della storia: non durò neanche 10 anni. Mantenere il controllo di territori così remoti era un costo improponibile per l'economia italiana del tempo. Per l'invasione, l'Italia schierò quasi mezzo milione di uomini - fra militari e civili di supporto. Si calcola che negli anni '30, il 20%-25% della spesa pubblica era dedicato ai territori coloniali. Non c'è da stupirsi se l'Italia arrivò stremata alla prova della guerra mondiale e la fallì completamente. Haile Selassie, imperatore d'Etiopia a quel tempo, disse a proposito della sconfitta del suo popolo "oggi tocca a noi, domani a voi". Fu curiosamente profetico perché pochi anni dopo toccò in effetti all'Italia di essere bombardata, sconfitta e invasa (a noi, per fortuna, furono risparmiati i gas venefici).
Oggi, sono passati più di 70 anni da quel tempo, e ben poco è rimasto in Italia di quella breve avventura imperiale, a parte la storia dell'obelisco di Axum, portato a Roma durante l'occupazione e oggi di nuovo in piedi, ad Axum, nonostante varie polemiche di chi lo voleva tenere in Italia. Ma Italia e Etiopia, pur senza parlarsi fra loro, hanno seguito strade curiosamente parallele. Quella dell'Etiopia è stata più difficile, con guerre e colpi di stato ripetuti. Ma entrambi hanno visto una grande crescita economica e della popolazione. Nel 1935, al tempo dell'attacco, la popolazione Italiana era di quasi 40 milioni di persone, mentre quella etiopica era di meno di venti milioni. Oggi, settanta anni dopo, l'Italia si sta fermando intorno ai 60 milioni. L'Etiopia, invece, ha raggiunto gli 80 milioni di abitanti e la tendenza alla crescita sembra ininterrotta.
Popolazione in Etiopia, da "peopleandplanet"
La pressione di questa crescita demografica sta creando enormi problemi a un paese povero e privo di risorse come l'Etiopia. Deforestazione, siccità, erosione e cambiamento climatico stanno distruggendo l'agricoltura etiopica. Già negli anni '80, ci sono state gravi carestie; quella che vediamo in questi anni sembra essere molto peggiore. L'altopiano etiopico non può nutrire 80 milioni di persone. Il resto del mondo, in crisi alimentare crescente, difficilmente potrà risolvere il problema. La tragedia è appena iniziata.
Da questa situazione nasce l'emigrazione etiopica: decine di migliaia di disperati alla ricerca di una possibilità di sopravvivenza. Molti, tentano di attraversare il deserto del Sahara, passando attraverso il Sudan e da li' verso la Libia per poi lanciarsi nella traversata versol'Italia. La storia di questi emigranti ce la racconta il film "Come un uomo sulla terra" di Dagmawi Ymer.
Un bel film sotto tanti aspetti. Unilaterale, certo, manca completamente la voce dei libici, condannati senza appello al ruolo di torturatori e sfruttatori. Però, nel complesso, le storie di sofferenza e di maltrattamenti raccontate dai profughi etiopi in viaggio per l'Italia suonano credibili: è così che gli uomini si comportano con i loro simili quando sanno di poterla fare franca. Del terribile carcere di Khufra vediamo solo le ferite alle braccia di una delle donne intervistate; il resto ce lo dobbiamo immaginare. Il regista, tuttavia, è riuscito a mostrarci le immagini dei "land cruiser", enormi camion che navigano il deserto carichi di profughi stipati all'inverosimile.
La tesi del regista, Ymer, è che i maltrattamenti ai profughi etiopici sono un meccanismo per selezionare i più robusti e i più adattabili; quelli che poi l'Italia accoglierà per farli lavorare. Tesi comprensibile dal suo punto di vista di ex-profugo ma, probabilmente, infondata. La cattiveria umana, normalmente, non ha bisogno di spiegazioni logiche. E' più probabile che ci troviamo di fronte a una conseguenza della tragedia di un paese sovrappopolato che si trova a dover fare i conti con i limiti delle risorse disponibili. Se l'Etiopia si trova in cattive acque, tuttavia, ricordiamoci anche che le parole dell'Imperatore Haile Selassie si sono rivelate profetiche una volta, "oggi tocca a noi, domani a voi."
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Per una storia del picco del carbone in Inghilterra, si veda il mio articolo sulla ASPO-newsletter n 73 del 2007. Una descrizione più dettagliata sui rapporti fra Italia e Inghilterra in relazione al commercio di carbone si trova in un altro mio articolo pubblicato su Aspo-Italia, intitolato "La Befana non ci porta più il carbone".