Lampadine a basso consumo: il paradosso di Jevons
In un mio post precedente, avevo espresso qualche dubbio sulla bontà del provvedimento che vieta la vendita in Europa delle tradizionali lampadine a filamento di tungsteno. L’argomento ha dato origine a svariate reazioni, alcune favorevoli, altre meno. Mi sembra il caso di approfondire e in questo secondo post aggiungo qualche considerazione sulla questione del paradosso di Jevons.
Le mie considerazioni piuttosto critiche sulle lampadine a basso consumo mi sono valse parecchi commenti favorevoli ma anche qualche messaggio piuttosto fuori dalle righe. Qualcuno che – evidentemente – non ha neanche letto il mio articolo mi ha accusato di aver detto che le lampadine a basso consumo sono meno efficienti di quelle tradizionali. Altri si sono risentiti per il fatto che ho detto che la maggior parte delle nuove lampadine finirà in discarica piuttosto che smaltita correttamente fra i rifiuti elettronici. Insomma, sono andato a toccare qualche nervo scoperto quando ho espresso dubbi su una delle vacche sacre dell’ambientalismo; quella dell’efficienza e del risparmio energetico.
Su questa cosa è forse il caso di ripetere il punto fondamentale che avevo fatto nel mio post precedente. Non mettevo (e non metto) in dubbio il fatto che le lampadine a basso consumo siano più efficenti di quelle tradizionali a filamento di tungsteno. Quantificando questo risparmio, però, si nota che è piuttosto modesto: al massimo dell’ordine dell’1%-2% dei consumi elettrici totali. Ma, sulla base del principio (o paradosso) di Jevons, potrebbe darsi benissimo che il risparmio sia zero, o perlomeno molto minore, venendo vanificato dalla tendenza della gente a tenere le lampade accese più a lungo.
Questa faccenda del principio di Jevons è una sorpresa per molta gente. Me ne sono accorto l’altro giorno quando l’ho menzionato a un convegno e le facce della gente seduta in platea hanno fatto un’espressione che penso sarebbe stata appropriata se – invece che di Jevons – mi fossi messo a parlare dell’imminente sbarco degli alieni a Central Park, a New York. Eppure, il paradosso di Jevons non è affatto un paradosso. E’ un fatto normalissimo nella vita di tutti i giorni; addirittura una conseguenza necessaria di come funziona l’economia e il cervello umano.
William Stanley Jevons (1835-1882) è stato un grande economista – a mio parere uno dei più profondi pensatori del suo tempo. L’800 è stato un periodo molto fecondo per la scienza moderna e tante cose che sono state scoperte e sviluppate allora, noi dobbiamo ancora veramente assimilarle. Una è stata la teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Darwin, che è stato il primo tentativo di studiare un sistema complesso – quello biologico in questo caso. Jevons forse non lo si può mettere alla pari con Darwin come profondità di pensiero, ma certamente ha avuto delle intuizioni brillanti che oggi chiameremmo “sistemiche”. In particolare, il suo lavoro del 1865 “The Coal Question” si legge ancora oggi con interesse. E’ stato il primo lavoro scientifico a porsi il problema dell’esaurimento. Problema che Jevons si è posto correttamente arrivando a prevedere il “picco del carbone” in Inghilterra, sia pure non per una data precisa (si è verificato negli anni 1920).
E’ stato nel lavoro “The Coal Question” che Jevons si è posto il problema dell’effcienza e del risparmio, arrivando a esprimere il suo famoso “paradosso” con le parole:
It is a confusion of ideas to suppose that the economical use of fuel is equivalent to diminished consumption. The very contrary is the truth.” (E’ una confusione di idee quella di supporre che l’uso economico di un combustibile è equivalente a ridurne i consumi. E’ vero proprio l’opposto).
Il principio di Jevons è ben ingranato sia con la scienza economica sia con la dinamica dei sistemi. Negli anni, è stato espresso in nuove e più raffinate forme che vanno sotto il nome di “Rebound Effect” o anche del “postulato di Khazzoom-Brookes”. A parte i nomi un po’ astrusi, non ci vuole gran fatica per capire su cosa si basano questi concetti: è abbastanza ovvio che se uso una risorsa in modo più efficiente, ne potrò usare di più; cosa che normalmente verrà fatta. I risparmi fatti nell’uso di una certa risorsa possono essere anche trasferiti su un uso più intenso di un altra.
Nel caso delle lampadine, il principio di Jevons si applica in due modi. In primo luogo, è probabile che le lampadine a basso consumo vengano utilizzate più a lungo di quelle tradizionali, semplicemente perché si sa che costano di meno. In secondo luogo, anche ammettendo che il risparmio ci sia effettivamente, le risorse risparmiate verranno usate in altri modi. Per esempio, se una famiglia risparmia qualche decina di Euro ogni anno con le lampadine a basso consumo, basta che questo risparmio lo utilizzi per andare in macchina a farsi qualche pizza al ristorante per vanificare tutte le riduzioni di emissioni di CO2 dovute alle lampadine.
Allora, nonostante che queste cose siano ben note e le si insegnino ai corsi di economia, nella pratica la gente continua a contare le tonnellate di CO2 risparmiate con le lampadine a basso consumo (e cose del genere) esattamente come se questi principi non esistessero. Nella pratica, però, non sarà mai possibile provare che una certa tecnologia porta a una riduzione dei consumi e delle emissioni: fino ad oggi abbiamo visto entrambe le cose aumentare costantemente nonostante tutti gli sforzi di introdurre tecnologie più efficienti. Oggi li vediamo diminuire, ma per effetti completamente diversi, dovuti alla crisi economica, a sua volta causata dall’esaurimento delle risorse. Ma, nella pratica, non siamo in grado “disaccoppiare” l’effetto dell’introduzione di nuove tecnologie dal totale della produzione.
Se vogliamo che la gente consumi di meno, lo si può ottenere per esortazione (suggerendo buone pratiche o favorendole economicamente) o per costrizione (proibendo o tassando le cattive pratiche). Se vogliamo che questo avvenga per l’illuminazione, lo si potrebbe ottenere, per esempio, mettendo dei limiti all’illuminazione pubblica in modo da evitare le “luminarie” che vediamo oggi un po’ dappertutto. Oppure, lo si potrebbe ottenere mediante una crescita della consapevolezza che porti la gente a capire che di certi sprechi non c’è bisogno.
Ma la semplice intruduzione di nuove tecnologie non mette limiti alla tendenza umana a sprecare le risorse. Alla fine dei conti, si sa che la gente consuma tutto quello che può permettersi di consumare: è stato così dalla notte dei tempi e non ci sono lampadine che possano cambiare il funzionamento della mente umana. A meno che uno non abbia la testa di “Lampadina”, il personaggio di Walt Disney.