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Sta andando sott’acqua il 37 % delle coste

25 febbraio 2009 0 commenti

Le zone marino-costiere ed i cambiamenti del clima

Le zone marino-costiere ed i cambiamenti del clima

Le aree marine costiere italiane, che nel passato erano soggette solo a fenomeni naturali, hanno assunto una importanza fondamentale nello sviluppo socio economico, come risorsa economica per l’industria, il turismo, i trasporti, l’urbanizzazione, ecc. tanto che gran parte delle attività umane si sta ormai da tempo spostando sempre più sulle aree costiere.
La pressione antropica nelle zone litorali italiane è cresciuta, a partire dalla fine del 1800, di circa il 150%. Oggi, oltre il 50% della popolazione nazionale vive in prossimità delle coste. Il tasso di urbanizzazione entro il primo chilometro dalla linea di costa ha avuto un ritmo estremamente accelerato negli ultimi decenni ed ha raggiunto, tra il 1990 ed il 2000, un tasso di incremento pari al 60% per decennio (bibliografia). Secondo le previsioni (bibliografia) questo tasso tenderà a rallentare, ma rimarrà comunque alto fino al 2025 e pari ad oltre il 20% per decennio, e complessivamente del 54% tra il 2000 ed il 2025.
La pressione delle attività antropiche e le modifiche dei litorali ha praticamente annullato sia le capacità di resilienza naturali degli ambienti marino costieri, sia le caratteristiche di biodiversità collegate alla foce di molti fiumi, alle zone umide lagunari, alle aree paludose marino-costiere, ecc. La perdita di coste basse per fenomeni accelerati di erosione negli ultimi 35 anni interessa 1.500 km di costa, cioè il 37,5% delle coste basse italiane. Ma non si tratta soltanto di perdite di spazi costieri ormai non più disponibili, si tratta molto spesso di perdita di ambienti di particolare pregio naturalistico (stagni, lagune, cordoni dunari, ecc.). Nello spazio di meno di un secolo, ma soprattutto negli ultimi decenni, l’Italia ha definitivamente perso ben 86% delle aree umide costiere, passando dai 700.000 ettari dell’inizio del 1900 a meno di 100.000 ettari degli anni recenti.
Di tutte le coste italiane, che hanno una lunghezza complessiva di circa 8.300 km, quelle più vulnerabili ai cambiamenti del clima, ed in particolare all’innalzamento del livello del mare e alla intensificazione di fenomeni estremi, sono le coste basse che si estendono per circa 4.000 Km, ma più in particolare 33 aree piane costiere di cui quella più ampia è l’area costiera del nord Adriatico e le altre sono situate prevalentemente in prossimità di foci fluviali. Tuttavia, non tutte le coste basse corrono gli stessi rischi. Quelle maggiormente esposte, infatti, sono le aree costiere già attualmente più critiche per fenomeni di erosione e di allagamento e che ammontano a circa 1.400-1.500 km, cioè il 35% delle coste basse ed il 20% del totale delle coste italiane.

La criticità attuale di queste zone costiere è ben visibile dall’arretramento più o meno generalizzato che esse hanno subito a partire dal 1970, un arretramento che dipende da vari fattori ma in particolare:
- dalla riduzione degli apporti solidi fluviali verso il mare: gli apporti solidi sono il fattore che favorisce il rinascimento delle spiagge e l’equilibrio della linea di costa. La riduzione degli apporti solidi che arrivano al mare è causato dalle opere di stabilizzazione dei versanti montani, dalle opere di regimazione fluviale, dalle opere di sbarramento dei corsi d’acqua e dai prelevamenti di materiale solido dagli alvei dei fiumi (tutti fattori di origine antropica più che naturale)
- dagli effetti di mareggiata concomitanti con eventi alluvionali, che comportano fenomeni parossistici di erosione nelle zone di foce in cui l’ondata di piena giunge al mare
- dall’aumento relativo del livello del mare a causa degli effetti concomitanti di abbassamento del suolo per subsidenza naturale ed antropica e gli altri movimenti geologici. provocando una continua perdita di territorio litorale.

[FOGLIA=2851]- La vulnerabilità delle coste italiane[/FOGLIA]
[FOGLIA=2852]- I rischi dell’ambiente marino costiero[/FOGLIA]
[FOGLIA=2853]- L’adattamento come strategia di prevenzione[/FOGLIA]

(Vincenzo Ferrara)