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Terremoto – All’Aquila non solo case di sabbia…

11 aprile 2009 0 commenti

Quando la terra trema

Quando la terra trema

A volte la terra trema, esplode, si ribella. Oppure i fiumi traboccano, il suolo si sgretola e precipita a valle. O ancora il mare sobbalza e travolge tutto. Altre volte i boschi bruciano, e il fuoco si espande inarrestabile. Che si tratti di eruzione, incendio o alluvione, oppure di terremoto o maremoto, la tragedia ci colpisce all’improvviso, e sembra ineluttabile. Ma è proprio così?
L’ultimo cataclisma d’Italia è stato il terremoto d’Abruzzo, che in piena notte ha colpito la Conca Aquilana, alle falde del Gran Sasso. Una catastrofe che ha messo in ginocchio la regione dei Parchi, e che ha sprigionato una gara al soccorso e alla solidarietà: ma ha pure scatenato le immancabili polemiche.
Si possono prevedere i terremoti? C’è chi tenta l’impresa, ma la scienza ufficiale lo esclude nel modo più assoluto. Eppure anche questo disastro era stato preceduto da scosse di minore intensità, e studiosi non blasonati, fuori dalle righe, stavano cercando di elaborare un metodo di segnalazione basato sul Radon, un gas radioattivo i cui valori aumentano in prossimità degli eventi sismici. Probabilmente un sistema ancora da verificare, ma perché ridicolizzare chi cerca di occuparsene? E come mai gli animali si accorgono sempre in anticipo dei terremoti imminenti? Siamo proprio certi che le moderne tecnologie non possano tentare di imitare, magari goffamente, ciò che la natura conosce da sempre?
Il colossale Gran Sasso, «ombelico d’Italia», è come buona parte della dorsale appenninica un massiccio calcareo con parecchi vuoti all’interno: non solo grotte e cavità, inghiottitoi e fessure di ogni genere, ma anche acque nascoste, fiumi impetuosi e serbatoi enormi del prezioso liquido, che poi verrà restituito fresco e purissimo più a valle. Acque scorrenti e costante stillicidio, capaci di formare e disfare la roccia, un equilibrio dinamico che è meglio non turbare oltre misura. Scosse e crolli, frane e assestamenti sono qui eventi quasi quotidiani, ma non si può negare che quelle acque sotterranee giochino un costante ruolo di «ammortizzatore».

Quando il gigante d’Abruzzo venne traforato da una doppia galleria, furono intaccati questi fiumi invisibili e sconvolte le «falde sospese», enormi depositi idrici di antichissima origine. E intorno alla montagna le falde idriche si abbassarono di centinaia di metri, molta vegetazione si disseccò, le piante da frutta agonizzarono. Solo a fatica, e grazie a un grande movimento di opinione, si riuscì a scongiurare un terzo tunnel che avrebbe crivellato senza scopo la montagna di Aquila e di Teramo.
Scrivevamo nel 1972 sulla Guida alla Natura d’Abruzzo, a proposito del prosciugamento del Lago del Fucino, completato circa un secolo prima: «Le falde idriche si abbassarono e impoverirono, e ciò non fu senza conseguenze sulla stabilità del sottosuolo, eminentemente carsico e fessurato. Qualcuno è giunto persino a collegare i terribili terremoti che nel 1915 devastarono la Marsica, uccidendo decine di migliaia di persone, a questo involontario quanto brutale sconvolgimento di un delicatissimo equilibrio ecologico». L’abbassamento della faglia che provocò il terremoto è ancor oggi chiaramente visibile a chi percorra il settore nordorientale della conca del Fucino.
Non si deve poi dimenticare l’altro lato della medaglia, che riguarda le gravi e indiscutibili colpe dell’uomo nella costruzione di edifici che si pretenderebbero sicuri. Come mai le norme antisismiche e il cemento non sono stati in grado di tenere in piedi neppure palazzi costruiti una manciata di anni fa? Possibile che in occasioni del genere, dall’Irpinia al Belice e al Molise, con tutti i validi sistemi e gli attentissimi organi di controllo nessuno si accorgesse che quel cemento era soprattutto sabbia, e che la corsa ai facili guadagni aveva scatenato movimenti sospetti di tangenti, con troppo rapidi arricchimenti?
Non sappiamo ancora se e quanto una «catastrofe naturale» sia davvero prevedibile o evitabile. Ma certo dovremmo interrogarci molto più profondamente su ciò che l’uomo è in grado di fare per comprenderne la dinamica, per contrastare e contenere ogni danno conseguente, e per ricostituire con scrupolo, onestà e rapidità città e villaggi devastati: come erano e dove erano, eliminando solo alcuni scempi degli ultimi anni, ma guardandosi bene dalla tentazione di creare nuove città prive di memoria storica. Dopo secoli e millenni, il Colosseo e il Partenone, le Piramidi e le Città Inca, così come le mura ciclopiche dei Pelasgi e persino il vicino teatro romano di Amiternum sono, almeno nella parte rispettata dai vandali, sempre lì. E quest’uomo che va sulla luna non riesce neppure a tenere in piedi per qualche anno le proprie dimore?

(Franco Tassi)