Il risveglio dell’Europa
2. I parchi del mondo
2. I parchi del mondo
Mentre negli Stati Uniti d’America l’entusiasmo per la scoperta dei territori ancora inviolati del selvaggio West faceva germogliare l’idea moderna di Parco Nazionale, a beneficio di tutta la nazione e delle future generazioni, un po’ più lentamente anche altri continenti seguivano la traccia del nascente movimento per la natura, fortemente ispirato a figure di poeti come William Wordsworth ed Henry Longfellow, e di tenaci protezionisti come John Muir.
Paradossalmente, gli ultimi a percepire la grandezza di quest’idea innovativa furono proprio i continenti di più antiche culture, l’Asia vetusta e la vecchia Europa: come se il fatto di essere patria di millenarie civiltà precludesse ogni possibilità di dedicare energie e risorse non solo al mito del progresso, ma anche alla custodia degli impareggiabili tesori della natura.
Il continente dove già da cinquemila anni prima si erano sviluppate culture straordinarie, da quella minoica all’ellenica fino alla romana, non mancava certo di un patrimonio ambientale quanto mai vario e straordinario, meritevole di attenzione e tutela. Eppure, in un mondo sovrastato da conflitti e divisioni, la natura d’Europa languiva come la bella addormentata in un sonno profondo, dal quale soltanto all’inizio del secolo scorso l’avrebbe risvegliata la dolce brezza di idee fresche e giovani venute d’oltre Oceano. E la riscossa non partì dalle regioni solari del Mediterraneo, tanto benedette dalla natura quanto maltrattate dagli uomini: ma dai Paesi nordici, che per primi vollero concretamente affermare la ferma volontà di tutelare i propri gioielli più splendenti.
In Europa iniziò la Svezia
Toccherà alla Svezia, nell’anno 1909, dare il buon esempio: creando i vasti Parchi Sarek e Padjelanta, nel Grande Nord, lungo il celebre Iter laponicum che nel 1735 aveva condotto Carlo Linneo alla scoperta di luoghi e piante, animali e popolazioni fino a quel momento isolati dal mondo civile. Una «taiga» sterminata, dove anche scrutando attentamente l’orizzonte non sarebbe possibile rintracciare neppure un segno di presenza umana: ma abitata da quei Lapponi, che molti considerano il popolo più antico d’Europa, da tempo immemorabile abituati a pascolare le renne tra foreste di conifere e praterie di brughi e betulle. Insieme ad alci, orsi, linci e ghiottoni, per ricordare solo alcuni degli ospiti più notevoli di queste lande fuori dal mondo.
Ma non meno anticipatore è l’intervento della Germania, che nello stesso anno 1909 istituisce un Parco Naturale non lontano da Amburgo, nella pittoresca Luneburger Heide, ovvero Brughiera del Luneburgo: un paesaggio tranquillo ma già abitato, dominato da pascoli aperti frequentati da silenziose greggi di pecore di una razza speciale. È questo il primo vero caso in cui si tenta di sperimentare l’attenta conservazione non di terre selvagge e inesplorate, ma di luoghi abitati, e quindi un valido esempio di armoniosa convivenza tra uomo e natura.
Seguirà, nel 1914, il Parco nazionale svizzero dell’Engadina: benché più piccolo di molti confratelli europei, rappresenta ancor oggi un modello ineguagliato, condotto a vera riserva integrale nella quale i numerosi visitatori sono ammessi, con elvetica perfezione, soltanto lungo una rete di panoramici sentieri pedonal, come educati spettatori della realtà più ambita e privilegiata: la Natura.
Le mete più preziose
Capita spesso di sentirsi chiedere, da giovani animati dal sacro fuoco della curiosità e dall’ansia dell’esplorazione, quali siano i Parchi più importanti da visitare per farsi un’idea abbastanza fedele e completa dell’antico paesaggio dell’Europa: in altre parole di quello che gli Svizzeri chiamano «il volto amato della patria». Non è facile rispondere in poche parole a un quesito del genere, perché luoghi diversi e fantastici, panorami indimenticabili e incontri emozionanti non mancano, da Capo Nord a Gibilterra, dalle Isole Svalbard a Cipro. Ma lasciando per ora da parte il nostro «Bel Paese», su cui torneremo in seguito, proviamo per un attimo ad aprire la mente e lo sguardo, in un rapido viaggio ideale, su quelle che potrebbero essere le mete più preziose e raccomandabili.
Partendo da Oriente, ecco affacciarsi il Monte Parnaso, dimora delle Muse, a due passi da Delfi e dal suo Oracolo: montagne calcaree e foreste di pino greco, e più in basso distese di verdi olivi e di azzurro mare. Se si risale lungo la penisola balcanica, non si può fare a meno di fermarsi a Plitvice in Croazia, spettacolare valle di acque zampillanti e selve primigenie, nella catena magnifica di 16 laghi comunicanti tra loro con cascate e ruscelli, su piani digradanti: per molti, il paesaggio più bello d’Europa.
Risalendo verso Nord, è soprattutto tra le montagne che si conservano segreti tesori: come nelle Alpi del Triglav, o Tricorno, in Slovenia, e nei Tatra a due passi da Cracovia, in Polonia. Ma anche zone meno impervie possono riservare piacevoli sorprese, come il Parco della Foresta Bavarese in Germania e i boschi delle Ardenne in Belgio, e riscendendo a meridione le paludi della Camargue pullulanti di uccelli in Francia e il Coto Donana, non troppo lontano da Siviglia, in Spagna.
Senza dimenticare, a Creta, le impressionanti Gole di Samaria, emozionante passeggiata di parecchie ore in discesa, tra altissime pareti rocciose abitate da capre selvatiche, grifoni e avvoltoi degli agnelli, all’ombra di colossali platani orientali e pini bruzi, cipressi e querce spinose, fino a sfociare sul caldo litorale del Mar di Libia
Una biodiversità eccezionale
Oggi i Parchi Nazionali e le Riserve Naturali d’Europa sono moltissimi, e vanno da vette di montagne come l’Olimpo a fondali del mare della Costa Azzurra, da delta fluviali come quelli di Danubio, Po e Guadalquivir, a profondità di grotte come quelle di Postumia. Assicurano la sopravvivenza di piante eccezionali, come il pino a cinque aghi della Macedonia e l’Ippocastano selvatico della Grecia settentrionale. Grazie a loro hanno potuto sopravvivere nel vecchio continente animali unici come il castoro e il visone europeo, la lince pardina e la foca monaca, l’aquila di mare e il proteo delle caverne. Vengono difesi da piccoli drappelli di persone fortemente motivate, ma su di loro incombono sempre mille pericoli. Sono amati da moltitudini di giovani e meno giovani, e frequentati da gente di ogni età, cultura e classe sociale, proveniente dalle vicine città o da paesi lontani. Possono far incontrare, conoscere, affratellare popoli diversi e talvolta tra loro ostili, offrendo la più bella proposta di pace tra uomo e natura, sicuramente il miglior antidoto a guerre moderne e conflitti ancestrali. E soprattutto tramandano ai nostri figli almeno una parte di quel ricco mondo vivente, animato e variopinto, che avevamo ereditato dai nostri predecessori.
Dei Parchi e delle altre Aree protette, una delle massime forme di civiltà dell’era contemporanea, un insigne naturalista del secolo scorso aveva detto una volta, con grande preveggenza: «Nei prossimi secoli, e nei prossimi millenni, gli uomini migreranno dalle città aride verso le terre ancora inviolate, per ammirare in silenzio piante e animali, foreste e montagne, fiumi e mari: e tutte le meraviglie del creato e di quei mondi antichi ai quali in passato, distolti da falsi idoli, avevano prestato troppo scarsa attenzione. E dovranno impegnarsi a difendere tutti insieme, con spirito di concordia, questo patrimonio unico che, una volta distrutto, non potrà mai più essere ricreato».
(Franco Tassi)
(Nella foto uno scorcio del parco nell’Utah)