Home » » villaggio globale »

Bioenergie – Non è tutto oro…

29 giugno 2009 0 commenti

Un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea)

Un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea)

La Commissione europea ha proposto un obiettivo obbligatorio: entro il 2020 il 20% di tutta l’energia europea dovrà provenire da fonti rinnovabili (vale a dire: energia eolica, solare, del moto ondoso, ecc., nonché bioenergia). Al momento le fonti rinnovabili corrispondono al 6,7% del consumo energetico europeo. Di questa percentuale, due terzi provengono dalla biomassa.
La Commissione europea intende promuovere i biocarburanti per i trasporti, anche perché la diversificazione è estremamente importante nei trasporti, a causa della loro dipendenza dal petrolio. Il settore dei trasporti sta inoltre aumentando le emissioni di gas a effetto serra e rendendo vani i risparmi di emissioni realizzati in altri settori.
La Commissione ha pertanto proposto che entro il 2020 i biocarburanti costituiscano il 10% del carburante per i trasporti stradali, a patto che possano essere certificati come sostenibili. I dati del 2007 mostrano che i biocarburanti coprono il 2,6% del carburante destinato ai trasporti stradali nell’Unione europea. Per arrivare al 10%, l’Unione europea deve incrementare la produzione e le importazioni di biocarburanti in un momento in cui questi ultimi si trovano al centro di complessi dibattiti ecologici ed economici. L’obiettivo dell’Ue per i biocarburanti è infatti sempre più oggetto di vivaci discussioni.
Il Parlamento europeo ha recentemente preteso la garanzia che il 40% dell’obiettivo del 10% provenga da fonti che non sono in concorrenza con la produzione alimentare. Il comitato scientifico dell’Eea ha avvisato che portare la quota di biocarburanti usati nei trasporti al 10% entro il 2020 è un obiettivo troppo ambizioso e dovrebbe essere sospeso.


Impatti globali. Prezzi dei generi alimentari e cambiamento nello sfruttamento del suolo

La promozione dei biocarburanti e di altre forme di bioenergia in Europa scatenerà inevitabilmente effetti diretti e indiretti in altre parti del mondo.
Per esempio, in Europa potremmo produrre biodiesel in maniera sostenibile dall’olio di colza, ma questo ridurrebbe la disponibilità di olio di colza per la produzione alimentare all’interno e all’esterno dell’Europa.
La lacuna sarà probabilmente colmata in parte dall’olio di palma. Questo causerebbe però una perdita di foresta pluviale, in quanto in paesi come l’Indonesia gli alberi vengono abbattuti per fare spazio a ulteriori colture di palme.
In tutto il mondo, la domanda di biocarburanti è uno dei vari fattori che hanno contribuito al recente incremento nei prezzi dei generi alimentari, insieme alle siccità che si sono abbattute su importanti paesi produttori, aumentando il consumo di carne e facendo salire i prezzi del petrolio ecc. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) stima che, a medio termine, le misure attuali e proposte di sostegno ai biocarburanti nell’Unione europea e negli Stati Uniti aumenteranno i prezzi medi del frumento, del granturco e degli oli vegetali rispettivamente dell’8%, 10% e 33% circa.
Il crescente consumo di alimenti a livello mondiale e l’ulteriore domanda di biocarburanti stanno determinando un’espansione dei terreni adibiti a colture a spese delle praterie erbose naturali e delle foreste pluviali tropicali. Questo è importante perché la deforestazione e le pratiche agricole sono attualmente responsabili di una percentuale stimata al 20% delle emissioni globali di gas a effetto serra. La conversione su larga scala delle foreste in terre coltivate aumenta questa quota e produce gravi effetti sulla biodiversità.
Anche la vita selvatica e la quantità e la qualità dell’acqua potrebbero soffrire se vaste zone fossero convertite da habitat naturali o zone ad agricoltura tradizionale in zone di produzione intensiva di bioenergia.


Impatti visibili

I recenti tentativi scientifici di stimare gli impatti della maggiore produzione di bioenergia hanno cominciato a produrre risultati e modelli sui quali l’Eea intende attirare l’attenzione.
Uno studio condotto in Brasile ha utilizzato immagini satellitari e rilievi sul terreno per mostrare che il tasso di conversione delle foreste in terre coltivate in Amazzonia è correlato ai prezzi globali dei semi di soia, nel senso che quanto più alto è il prezzo della soia, tante più piante vengono abbattute nella foresta pluviale. E non vi sono dubbi che la domanda di bioetanolo stia facendo salire il prezzo, ora che acri di semi di soia vengono convertiti a colture di cereali per il bioetanolo statunitense.
Nel frattempo, Tim Searchinger e i ricercatori della Purdue University negli Stati Uniti hanno utilizzato un modello agro-economico globale per indagare come la crescita su larga scala dei cereali e del panico verga per la produzione di bioetanolo negli Stati Uniti potrebbe spostare la produzione delle colture alimentari in altre parti del mondo, dove le foreste e le praterie erbose vengono convertite in seminativi per colmare la lacuna alimentare.
In base a questa ricerca si stima che per 50 anni o più le emissioni di gas a effetto serra associate al bioetanolo saranno maggiori di quelle associate all’utilizzo dei combustibili fossili. Ciò è dovuto al fatto che le praterie erbose e le foreste fungono da riserve di CO2. Convertirle in un tipo di coltura adatta alla produzione di biocarburanti eliminerebbe questa funzione di riserva. Ci vorrebbero decenni prima che i vantaggi possano superare gli svantaggi.
Gli impatti sulla biodiversità e sulle risorse naturali come l’acqua sono difficili da misurare. La maggiore produzione di cereali nella regione statunitense del Mid-West costituisce per esempio una minaccia per la vita marina nel Golfo del Messico, dove le immissioni elevate di nutrienti dal Mississippi hanno creato una zona morta che si estende per più di 20.000 km2. Secondo uno studio recente, il raggiungimento degli obiettivi per il 2022 nella bolletta dell’energia statunitense aumenterà i carichi di azoto nel Mississippi del 10-34%.


Modellare il futuro

Nel 2006 uno studio dell’Eea ha stimato che il 15% della domanda prevista di energia in Europa nel 2030 potrebbe essere soddisfatto con la bioenergia ricavata dai prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e di scarto, usando solo risorse europee. Questa stima viene denominata il «potenziale della biomassa» in Europa. Lo studio ha imposto una serie di condizioni a tutela della biodiversità e per ridurre al minimo i rifiuti allo scopo di garantire che il «potenziale della biomassa» non danneggiasse l’ambiente.
Successivamente, nel 2008, l’Eea ha utilizzato il modello Green-X Environment, originariamente concepito per studiare i mercati dell’elettricità rinnovabile, al fine di analizzare come si potesse sfruttare il «potenziale della biomassa» ecocompatibile nel modo più efficace rispetto ai costi da un punto di vista ambientale.
Lo studio suggerisce che il modo più efficace rispetto ai costi per sfruttare il potenziale «modellato» della biomassa consisterebbe nel ricavare dalla biomassa il 18% del calore, il 12,5% dell’elettricità e il 5,4% dei carburanti per i trasporti in Europa entro il 2030.
Riducendo l’utilizzo di combustibili fossili in tutti e tre i settori, si potrebbero tagliare 394 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica entro il 2020. Riduzioni ancora più significative delle emissioni sarebbero ottenute se si attuassero politiche volte a dare la priorità all’utilizzo della tecnologia di generazione combinata di calore ed elettricità. Questo processo sfrutta il calore, che è un prodotto secondario della produzione di energia.
Naturalmente vi sono costi da considerare. Incrementare l’utilizzo della bioenergia è circa il 20% più costoso che applicare un modello analogo di energia convenzionale entro il 2030. In definitiva sarebbero i clienti a dover sostenere i costi.
Gli sviluppi dall’inizio di questo lavoro, soprattutto gli aumenti nei prezzi globali degli alimenti, indicano che le stime del «potenziale della biomassa» sono ottimistiche: probabilmente vi saranno meno terreni disponibili in Europa da destinare alle coltivazioni per la generazione di bioenergia. Inoltre, i prezzi elevati del petrolio potrebbero a loro volta ripercuotersi sui risultati.
Dallo studio emerge però un chiaro messaggio: sarebbe meglio, in termini di costi e di attenuazione dei cambiamenti climatici, dare la priorità alla bioenergia per la generazione di calore ed elettricità utilizzando gli appositi impianti di generazione combinata che non concentrarsi sui carburanti per i trasporti.


Guardando avanti

Per evitare gli impatti negativi del passaggio alla bioenergia appena descritti, c’è bisogno di politiche solide a livello internazionale volte a prevenire cambiamenti nello sfruttamento del suolo, che aggraverebbero soltanto i problemi ambientali pur di ottenere bioenergia. La sfida è chiaramente globale e ciò che serve è un dibattito globale su come arrestare la perdita di biodiversità e affrontare al contempo i cambiamenti climatici, tenendo conto del bisogno globale di una maggiore produzione alimentare e degli sconfortanti aumenti nel prezzo del petrolio.
I ricercatori dell’Eea ritengono che l’Europa dovrebbe cercare attivamente di generare al suo interno quanta più bioenergia possibile, sostenendo al tempo stesso l’equilibrio tra la produzione di alimenti, di carburanti e di fibre e senza compromettere i servizi ecosistemici. Si dovrà prendere le mosse dai biocarburanti e iniziare una ricerca e uno sviluppo seri di biocarburanti avanzati (vedi il riquadro). E soprattutto si dovrà farlo tenendo conto di tutti gli impatti ambientali, compresi gli effetti sul suolo, sull’acqua e sulla biodiversità, nonché sulle emissioni di gas a effetto serra. Così facendo, l’Unione europea potrà assumere il ruolo di guida nella creazione di un settore veramente sostenibile della bioenergia.


La promessa della prossima generazione

I processi di produzione di biocarburanti di seconda generazione possono utilizzare una varietà di materie prime non alimentari. Queste comprendono la biomassa da rifiuti, il legno, i fusti di frumento o cereali e speciali colture per la produzione di energia o biomassa come il Miscanthus.
I biocarburanti di seconda generazione possono garantire riduzioni più sostanziali delle emissioni di gas a effetto serra, oltre a ridurre altri effetti negativi come l’utilizzo di fertilizzanti, ma è improbabile che siano disponibili in tempo utile per contribuire sostanzialmente alla realizzazione dell’obiettivo del 10% di biocarburanti per i trasporti entro il 2020. Serve molta più ricerca su questi processi di produzione e sui loro impatti e opportunità. Inoltre, sarà difficile che venga meno la concorrenza per il suolo e per l’acqua tra le colture alimentari e quelle dedicate alla generazione di energia.

(Fonte Arpat)