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Clima – Tre ambiguità che non risolvono i nodi

10 luglio 2009 0 commenti

Il G8 dell’Aquila

Il G8 dell’Aquila

Leggendo il testo ufficiale della dichiarazione dei G8 per la parte riguardante il clima, chi conosce i problemi rimane piuttosto sconcertato perché molto ambigua e di fatto priva di alcun contenuto valido, salvo il sensazionalismo che ha suscitato.
Riportiamo il testo ufficiale, con «in grassetto» le parti ambigue:

65. We reaffirm the importance of the work of the Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) and notably of its Fourth Assessment Report, which constitutes the most comprehensive assessment of the science. We recognise the broad scientific view that the increase in global average temperature above preindustrial levels ought not to exceed 2°C. Because this global challenge can only be met by a global response, we reiterate our willingness to share with all countries the goal of achieving at least a 50% reduction of global emissions by 2050, recognising that this implies that global emissions need to peak as soon as possible and decline thereafter. As part of this, we also support a goal of developed countries reducing emissions of greenhouse gases in aggregate by 80% or more by 2050 compared to 1990 or more recent years. Consistent with this ambitious long-term objective, we will undertake robust aggregate and individual mid-term reductions, taking into account that baselines may vary and that efforts need to be comparable. Similarly, major emerging economies need to undertake quantifiable actions to collectively reduce emissions significantly below business-as-usual by a specified year.


Premessa necessaria

Per capire queste ambiguità bisogna fare le seguenti tre premesse:

1) La Unfccc (la Convenzione Quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici) stabilisce che l’obiettivo di lungo termine è: «la stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra a un livello tale da prevenire pericolose interferenze delle attività umane con il sistema climatico».

2) L’Ipcc (l’organismo scientifico consultivo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) ha quantificato l’obiettivo di cui sopra in questi termini: Per stabilizzare le concentrazioni atmosferiche dei gas serra al livello di 2°C rispetto all’epoca pre industriale (considerato come limite di innalzamento della temperatura media globale, oltre il quale si innescano processi di impatto climatico irreversibili) è necessario stabilizzare le concentrazioni atmosferiche dei gas serra nell’intervallo compreso fra 400 e 450 ppm. Tale stabilizzazione potrà essere raggiunta se si riducono di almeno il 50% le emissioni globali di gas serra entro il 2050, rispetto al 1990.

3) Di conseguenza i presupposti necessari e sufficienti, ma indispensabili per mantenere il surriscaldamento entro i 2°C rispetto all’epoca pre industriale (e stabilizzare quindi il sistema climatico), sono la data di partenza: 1990, la data di arrivo 2050 ed il processo di riduzione che deve invertire la sua tendenza prima del 2020 per poi assumere un andamento decrescente sempre più deciso.
Poiché le emissioni globali cambiano (e crescono) di anno in anno, la data di partenza, 1990, è fondamentale per fissare quantitativamente le emissioni globali (erano attorno ai 22-23 miliardi di tonnellate), e riportarle entro le capacità ricettive di assorbimento globale del pianeta, capacità ricettive che sono comprese fra 10 e 12 miliardi di tonnellate: ecco perché si parla di riduzione del 50% rispetto al 1990.
La data di arrivo: 2050 è altrettanto fondamentale per stabilire il livello di stabilizzazione (400-450 ppm e 2°C) ed il relativo percorso. Se, per esempio, la data di arrivo fosse il 2080 il livello di stabilizzazione raggiungibile sarebbe di 500-550 ppm e circa 3°C di surriscaldamento. Se fosse successiva al 2080 i livelli di stabilizzazione raggiungibile diventerebbero sempre più alti ed il clima sarebbe destinato a cambiare profondamente e irreversibilmente, nonostante la stabilizzazione.


Le ambiguità

the goal of achieving at least a 50% reduction of global emissions by 2050

Si stabilisce cioè la data di arrivo, ma non quella di partenza. Se la data di partenza non è il 1990 ma, per esempio il 2007 (ultimi dati disponibili) o peggio ancora il 2012 (scadenza del protocollo di Kyoto), la riduzione del 50% rispetto al 2007 o al 2012 comporterebbe in realtà un aumento delle emissioni di oltre il 20% rispetto alle condizioni di stabilizzazione che corrispondono al limite del 50% delle emissioni globali riferite al 1990. Infatti, tra il 1990 ed il 2007 le emissioni globali sono cresciute da circa 23 miliardi di tonnellate del 1990 ad oltre 30 miliardi di tonnellate, stimate per il 2007. Pertanto, il 50% di 30 miliardi del 2007 è del 20% - 25% superiore al limite di 10-12 miliardi di tonnellate a cui riferirsi. Se l’anno di riferimento è posteriore al 2007 l’aumento rispetto al limite di stabilizzazione riferito al 1990 sarà ancora maggiore. Altro che riduzione! Di conseguenza, parlare di riduzione del 50% senza prendere come riferimento l’anno base: 1990 significa che non vi sarà alcuna stabilizzazione a 400-450 ppm e l’aumento di temperatura, nonostante i buoni propositi dichiarati di volerla contenere entro il limite massimo di 2°C, continuerà a crescere oltre i 2°C senza più fermarsi.


a goal of developed countries reducing emissions of greenhouse gases in aggregate by 80% or more by 2050 compared to 1990 or more recent years

Qui, invece, si stabilisce, ma per i paesi industrializzati soltanto, la data di partenza: 1990, e la data di arrivo. Quindi, si tratta di manifestazione di un impegno vero, effettivo e corretto, per i paesi dei G8. Purtroppo, tutto ciò viene immediatamente smentito subito dopo perché la data di partenza potrebbe non essere il 1990, ma potrebbero essere gli anni «more recent» e qui, piombiamo nell’assoluta indeterminazione: sarà quindi possibile tutto ed il contrario di tutto. Di certo, viene confermato che non stabilizzeremo a 400-450 ppm né tanto meno a 2°C. E che non vi siano certezze di alcun tipo viene confermato dallo stesso testo della dichiarazione, quando dice:


baselines may vary and efforts need to be comparable

perché, siccome non sappiamo come si comporteranno nel frattempo i Paesi in via di sviluppo, tutto dipenderà dagli andamenti futuri delle emissioni (baselines) che potrebbero cambiare e si dovrà, di conseguenza, trovare un nuovo paradigma di comparazione. Allora, forse, stabilizzeremo (ma dopo il 2100) a 600 o ad 800 ppm con aumenti di temperatura superiori a 4°C. Non è dato sapere. Chissà… Chi vivrà vedrà.


Sviste o scelta politica?

Se queste «sviste» sono state casuali, appare evidente che chi ha scritto il testo sia poco esperto della materia che ha trattato e dunque, il testo andrebbe rivisto e chiarito. Se, come è probabile, queste «sviste» sono state, invece, premeditate, perché alla base non vi è alcun accordo (né fra i G8, né fra G8 ed economie emergenti), salvo la vuota enunciazione di principio di mantenersi al di sotto dei 2°C di surriscaldamento globale, allora appare evidente la truffa colossale che è stata operata verso la buona fede delle persone comuni, ma soprattutto verso la buona fede di ignari giornalisti, che l’hanno ritenuta una svolta storica sul clima dandone un rilievo sensazionalistico, quando, invece, è solo un escamotage furbesco, anche se diplomatico, per nascondere l’assenza di qualsiasi impegno o accordo in proposito. Che sia questa l’interpretazione più plausibile, è confermata anche dall’assenza di qualsiasi altro cenno di impegno sul breve e medio periodo della lotta ai cambiamenti climatici. Oltre il punto di partenza e di arrivo, è, infatti, necessario fissare anche un percorso con traguardi intermedi, a partire dal primo traguardo fissato al 2020.

Per stabilire questo percorso vale il principio della «responsabilità comune ma differenziata», stabilito dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La responsabilità maggiore dell’attuale riscaldamento climatico ricade, quasi totalmente, sui paesi industrializzati e sui G8 in particolare, perché hanno inquinato il pianeta a partire dall’epoca della rivoluzione industriale e, poi, sempre di più nel corso di questi ultimi duecento anni. La responsabilità, o meglio la corresponsabilità, dei paesi in via di sviluppo è, invece, secondaria, ed è limitata soltanto agli ultimi lustri.

Dunque, i paesi maggiormente industrializzati devono necessariamente impegnarsi di più, anche perché posseggono tecnologie, know-how, risorse finanziarie, nonché capacità istituzionali ed organizzative, maggiori dei paesi in via di sviluppo. Il principio di responsabilità, e considerazioni etiche e di equità, richiedono che i paesi dei G8 e gli altri paesi industrializzati debbano ridurre le loro emissioni, non del 50% (al 2050, rispetto al 1990), ma dell’80% o del 90% per consentire ai Paesi in via di sviluppo di poter procedere verso il loro sviluppo, senza, però, che questi ultimi commettano gli stessi errori di inquinamento planetario già commessi dai paesi industrializzati nel passato.

Per dimostrare la serietà dei loro propositi, i paesi del G8 e gli altri paesi industrializzati, devono impegnarsi già sul breve periodo, e cioè al primo traguardo del 2020 a ridurre in modo misurabile e verificabile le loro emissioni tra il 25% ed il 40% rispetto al 1990. Nel frattempo, i paesi in via di sviluppo, a cominciare dalla Cina e dall’India, devono impegnarsi ad attuare azioni concrete di sviluppo socio economico «pulito» ed a basse emissioni di gas serra, in base alle loro capacità e caratteristiche nazionali. Per poter rendere efficaci queste azioni, i Paesi in via di sviluppo devono, però, disporre di nuove tecnologie, di adeguato know-how e delle necessarie risorse finanziarie che purtroppo non hanno, ma che i paesi sviluppati metteranno a disposizione attraverso adeguate forme di cooperazione internazionale.

Ebbene, nessun cenno di tutto questo appare nei documenti dei G8, nessun segnale di buona volontà di nessun tipo. Al di là dei soliti ripetitivi riti scenografici di questi summit, si sperava che questa volta i G8, vista anche la svolta nell’Amministrazione Usa, fossero in grado di superare gli egoismi nazionali e gli interessi di parte per mettere a centro dei problemi gli interessi generali, l’etica e la responsabilità, assumendo subito l’iniziativa della leadership mondiale e concordando impegni concreti, soprattutto per il primo traguardo del 2020, impegni da rendere vincolanti alla prossima conferenza di Copenhagen del dicembre 2009 e coerenti con l’obiettivo di stabilizzare entro il 2050 il surriscaldamento climatico entro i 2°C, come da loro stessi enunciato.

Il tempo stringe per l’appuntamento di Copenhagen e non si può più scherzare con bizantinismi di facciata ed il vuoto della sostanza. Ulteriori ritardi mettono inevitabilmente a rischio le risorse naturali del pianeta, la possibilità e la qualità dello sviluppo dei paesi poveri, ma soprattutto la qualità della vita di tutte le future generazioni, avviando l’umanità verso l’autolesionismo e verso l’ignoto derivante dalle conseguenze negative e dai danni dei cambiamenti climatici, a cui tutti saremo inevitabilmente condannati, solo per l’insipienza di pochi, anche se «grandi» della terra.

(Vincenzo Ferrara, climatologo)