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Alcuni interventi per trasformare le banche in servizi di base

20 marzo 2009 0 commenti

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1.Premessa
Facendo seguito ad un precedente articolo che trattava di un nuovo  sistema di supervisione e controllo dei mercati finanziari, affrontiamo in questa seconda nota alcuni temi relativi ad un nuovo possibile assetto di alcune tra le principali istituzioni del settore.
Prima di elencare alcune proposte di riforma  appare comunque opportuno ricordare una questione estremamente rilevante: lo spettacolo delle migliaia di miliardi di dollari e di euro trovati all’istante dai governi per salvare le banche e i banchieri, che per tanti anni, sino a che hanno potuto,  hanno in piena legalità accaparrato in maniera parassitaria una fetta imponente della ricchezza mondiale (Attali, 2008),  resterà probabilmente fortemente impresso  nell’opinione pubblica. Si potrebbe creare uno squilibrio di legittimità enorme (Lordon, 2008, a) nel momento in cui vola in pezzi quella che si potrebbe chiamare la “frontiera dell’impossibile”. Trovare qualche decina a centinaia di milioni per la cassa integrazione, per la scuola, per la ricerca, non era possibile, c’erano problemi di bilancio, mentre trovare  subito delle decine o migliaia di miliardi per la finanza è ora molto facile.

Questa grande disparità di trattamento potrebbe in futuro comportare grandi problemi.
E’ apparso  inoltre sorprendente che mentre Paulson, l’ex ministro del Tesoro statunitense, è riuscito a suo tempo  a mobilitare negli Stati Uniti 700 miliardi di dollari in pochi giorni per salvare le banche, egli si sia contemporaneamente rifiutato di occuparsi invece in qualche modo della sorte di quelle famiglie che stanno perdendo la casa perché non riescono più a pagare le rate  in scadenza dei mutui. D’altro canto, alla fine, i contribuenti saranno chiamati a pagare la fattura dei banchieri che li hanno ridotti nell’attuale situazione e che probabilmente pretenderanno, appena passata la bufera, di riprendere il loro posto al banchetto del mondo.

2. La nazionalizzazione delle banche; il controllo di hedge funds e fondi di private equity
Le proposte sin quì avanzate nel mondo  puntano al massimo ad un  intervento parziale e temporaneo da parte dei governi nel capitale delle banche; una volta passata la bufera e secondo le opinioni di gran lunga prevalenti,  le eventuali quote di capitale in mano pubblica dovrebbero essere vendute sul mercato, magari anche ottenendo delle plusvalenze. Si ricorda a questo proposito il caso svedese dei primi anni novanta, che seguì con successo uno schema di questo tipo.
Il sistema bancario statunitense e quello britannico sono nella sostanza oggi in una situazione di bancarotta. Nello stesso tempo le istituzioni finanziarie sono un momento essenziale del corretto sviluppo del sistema economico di un paese; l’economia del mondo non si può permettere di andare avanti con la minaccia di un collasso di questo tipo. E’ anche basandosi su premesse simili che H. Minsky, già alcuni decenni fa, nell’analizzare il ruolo del sistema finanziario nella crisi, era giunto alla conclusione della necessità di una sua socializzazione permanente. Si tratta di una proposta che appare per molti aspetti condivisibile, anche se non si possono nascondere alcuni problemi relativi.

D’altra parte, ci sembra potrebbe essere opportuno suddividere nel lungo termine il settore bancario in due segmenti, da una parte quello che svolge le funzioni di base utili al sistema economico –dalla raccolta dei depositi, ai prestiti alle imprese e ai privati, all’attività di trasferimento dei fondi, ecc.-, dall’altra quello che porta avanti le attività residue, che comprendono anche quelle di pura speculazione. Bisogna in sostanza trasformare da questo punto di vista le banche in un servizio di base, come quello dell’acqua, del gas,  della fornitura di energia elettrica, ecc., cui sia proibito di giocare ai tavoli dei casinò. Ci si potrebbe limitare a mettere sotto il controllo azionario pubblico e sotto una forte tutela regolamentatoria il primo segmento di attività, mentre per quanto riguarda il secondo si potrebbe lasciare una  maggiore libertà di manovra, a condizione che i legami tra le due entità siano molto limitati e che il secondo settore non possa raccogliere il risparmio pubblico se non all’ingrosso e, in ogni caso, che  esso non possa avere legami di sorta anche con i fondi pensione e i fondi comuni di investimento.

Gli hedge fund, i fondi di private equity e le altre società assimilate potrebbero così continuare ad operare, sia pure nell’ambito di alcune regole molto più stringenti di quelle attuali. Forse, nel caso dei fondi di private equity,  si dovrebbe pensare, vista la rilevanza sociale delle loro decisioni, ad un intervento con una quota di controllo nel loro capitale e una supervisione permanente da parte dello stato. Ovviamente, bisognerà far loro pagare le tasse in modo adeguato e proibire che la loro sede sia domiciliata nei paradisi fiscali.
Un aspetto rispetto al quale la nazionalizzazione delle attività bancarie di base potrebbe contribuire, anche se solo in parte, a risolvere un problema, riguarda il fatto che una delle vie con le quali si sta cercando di combattere la crisi delle banche, fenomeno che tocca  in particolare, ma non solo, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, è quella di una forte spinta alla concentrazione. Negli stessi Stati Uniti, ad esempio, ormai la gran parte dei depositi della clientela sono controllati da soli quattro istituti e qualcosa di simile si può ormai dire anche per la Gran Bretagna. Questo processo di accorpamento ha, tra le tante conseguenze negative, quella che quando, con la prossima crisi,  questi organismi dovessero entrare in difficoltà, tentare di mettere in campo politiche di salvataggio potrebbe rivelarsi un compito immane. Si impone quindi una ristrutturazione del sistema bancario di vari paesi per tenere conto di questo problema dimensionale.

3. Il controllo dei fondi pensione
I fondi pensione sino ad oggi hanno goduto per molti versi nel mondo di un’ampia libertà di intervento ed essi hanno così impiegato parti consistenti delle loro risorse nell’acquisto di titoli azionari, nel gioco dei derivati, negli hedge fund, nei fondi di private equity,giocandosi sostanzialmente i soldi dei pensionati e degli occupati al casinò. Questo è avvenuto, oltre che per il sentimento di euforia prevalente da molti anni sui mercati finanziari,  anche in relazione alla pressione sociale esercitata sui manager dei fondi per ottenere rendimenti sempre più elevati. Con lo scoppio della crisi, la situazione è precipitata e i fondi pensione stanno subendo perdite in media molto rilevanti, con le conseguenti sofferenze per i lavoratori attivi e i pensionati, in particolare in alcuni paesi.

Per evitare che in futuro si manifestino ancora situazioni di questo genere pensiamo sarebbe opportuno  proibire a tali istituzioni la possibilità di intervenire, se non eventualmente in misura molto limitata, in mercati e strumenti che presentino rischi rilevanti.
Dovrebbe essere anche oggetto di dibattito la stessa opportunità di continuare a permettere l’esistenza  ulteriore di fondi pensione di carattere privato, che mettono a grave rischio le risorse dei dipendenti –molti di tali fondi, in particolare nel mondo anglosassone, presentano grandi deficit di bilancio e quando ottengono rendimenti positivi gran parte di essi sono attribuibili alle agevolazioni fiscali concesse dagli stessi poteri pubblici.
Non si tratta forse di organismi posti in essere su delle fondamenta per lo meno discutibili, volendo essi pretendere, nella sostanza, di conciliare due cose contradditorie, la protezione dei soldi dei loro aderenti e la speculazione (Montagne, 2006)?

4. Il ruolo delle banche centrali
L’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi, così come quello di equilibrio dei conti pubblici, voluto quest’ultimo in particolare dalle istanze europee, riducono oggi singolarmente lo spazio di manovra delle banche centrali occidentali. Bisognerebbe considerare nella fissazione delle loro politiche anche altri obiettivi, quali la crescita dell’economia, la redditività delle imprese, l’andamento dell’occupazione, l’evoluzione dei debiti dei differenti agenti economici, il saldo dei conti con l’estero. Così era sbagliato fare un bilancio solo riferito agli obiettivi di inflazione e di equilibrio dei conti pubblici – quelli spagnoli apparivano a suo tempo in perfetto ordine – per poi  eventualmente  intervenire, ad esempio nel caso recente  degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Spagna, senza prendere in considerazione il livello in forte crescita dei debiti delle famiglie, dei prezzi del settore immobiliare e del deficit con l’estero.
Il ruolo delle banche centrali dovrebbe essere quello di mantenere un sentimento di fiducia nelle attività  produttive. Perciò esse dovrebbero essere sottratte alla tutela di fatto su di loro esercitata dagli operatori finanziari privati, dopo che esse si sono liberate di quella esercitata  dagli stati. Le banche centrali non possono essere pienamente indipendenti; dietro questa indipendenza fittizia si nasconde in effetti una loro subordinazione ai mercati finanziari (Lordon, 2008). Da quando questo è avvenuto, l’instabilità finanziaria e la speculazione immobiliare sono diventate la norma, sotto l’ombra della stabilità monetaria. La produzione, la moneta, le imprese, i popoli, sono stati sottomessi agli interessi dei mercati. Quindi le banche centrali, in particolare quella degli Stati Uniti,  non hanno fatto nulla per frenare o anche bloccare a suo tempo la bolla che si andava formando, anzi mantenendo bassi i tassi di interesse esse hanno contribuito ad alimentarla.

Bisogna quindi ripensare a quali obiettivi economici e finanziari le banche centrali devono prestare attenzione e come devono rendere conto delle loro politiche ai rappresentanti degli stati. E’ peraltro necessario considerare che determinare un corretto rapporto tra banche centrali e governi è un’impresa molto complicata e sarà richiesta una grande fantasia istituzionale per trovare una soluzione adeguata.

Volumi  citati nel testo
-Attali J., La crise, et après?, Fayard, Parigi, 2009
-Lordon F., Jusqu’à quand? Pour en finir avec les crises financières, Raisons d’agir éditions, Parigi, 2008
-Montagne S., Le fonds de pensions. Entre protection sociale et speculation financière, Odil Jacob, Parigi, 2006