I fondi avvoltoio e i paesi poveri
I cosiddetti “vulture funds” sono molto diffusi negli Stati Uniti, ma sono presenti in maniera significativa anche in altri paesi e di solito operano sul mercato finanziario acquistando imprese, crediti, attività varie in periodi di crisi o comunque di difficoltà e quindi con esborsi di solito limitati. Successivamente cercano di valorizzare quanto hanno acquisito e di rivenderlo a prezzi maggiorati, con guadagni che, in certi casi, possono anche essere molto rilevanti.
Anche noi di finansol.it ne avevamo già parlato (qui).
Tali fondi hanno trovato ora - con la crisi - un campo interessante e quasi inesauribile nel quale operare. Disponendo di larghe liquidità in un periodo in cui invece gli operatori economici stentano spesso a trovare le risorse di cui hanno bisogno per andare avanti è facile immaginare come essi stiano facendo dei buoni affari e presumibilmente continueranno a farli abbastanza a lungo, vista la profondità e la durata probabile della crisi. Ma ora un piccolo intoppo si è manifestano sulla strada dei facili guadagni, almeno per una parte di tali operatori. Il Congresso degli Stati Uniti ha avviato le prime mosse per mettere fuori legge almeno una categoria particolare di tali fondi, quelli che comprano sul mercato a valori molto scontati titoli del debito sovrano di molti paesi poveri e che successivamente si rivolgono ai tribunali per ottenere il pagamento a prezzo pieno di tali titoli.
Molti fondi come questi sono domiciliati negli Stati Uniti o nei paesi “offshore” come le Isole Cayman.
Come ha dichiarato un membro democratico del Congresso - Maxine Waters - che è all’origine della proposta di legge che ha nome “Stop Vulture Funds Act”, «[...] noi non possiamo permettere che i paesi più poveri del mondo siano sfruttati da queste canaglie».
Bisogna a questo proposito anche considerare che, secondo dei dati resi noti dalla Banca Mondiale il 22 giugno del 2009, gli afflussi netti di capitali privati dai paesi ricchi a quelli poveri, che nel 2007 ammontavano a circa 1.200 miliardi di dollari, sono scesi a 707 miliardi nel 2008 e dovrebbero collocarsi in soli 363 miliardi nel 2009. Questo senza parlare della rilevante caduta delle rimesse degli emigrati e anche dei proventi dall’esportazione di materie prime per questi stessi paesi.
Quindi le azioni di disturbo dei fondi si collocano in un momento particolarmente disastroso per i paesi interessati. L’atto che si sta discutendo presso il Congresso statunitense renderebbe illegale l’azione dei fondi volta a perseguire i paesi poveri presso i tribunali statunitensi per ottenere “pagamenti usurai”. L’espressione “pagamenti usurai” è definita nell’atto come qualsiasi somma superiore al prezzo di acquisto dei titoli più un interesse su base annua del 6%. Oggi invece tali fondi comprano sul mercato i titoli ad un prezzo che si colloca spesso intorno al 10% del loro valore nominale e poi cercano di recuperare in tribunale il valore facciale del credito.
Sviluppi simili a quelli statunitensi si stanno registrando intanto anche in Gran Bretagna dove un gruppo interpartitico, guidato dalla deputata laburista Sally Keeble, ha promosso la presentazione in Parlamento di un progetto di legge denominato “Developing country debt restriction of recovery” che proibirebbe ai creditori di avviare azioni legali per ottenere profitti rilevanti dal commercio dei titoli di debito dei paesi poveri. E’ noto che ben 54 società hanno in effetti nell’ultimo periodo intrapreso azioni legali a tale proposito, in particolare verso paesi quali l’Etiopia, il Camerun, l’Argentina, la Repubblica democratica del Congo ed altri paesi non specificati. Tra l’altro, nel 2007 una società finanziaria domiciliata nelle Isole Vergini britanniche ha vinto una causa per ottenere un pagamento dal governo dello Zambia pari a 15,5 milioni di dollari per dei titoli pubblici che essa aveva comprato per soli 3,3 milioni.
Speriamo soltanto che queste azioni parlamentari vadano presto a buon fine in ambedue i paesi interessati.