Le difficoltà dei paradisi
Nonostante le parole del responsabile dello staff di Obama - Rahm Emanuel - che a suo tempo aveva dichiarato che non bisogna mai sprecare una crisi, per molti aspetti quella in atto è stata un’occasione mancata per provare a riformare un sistema finanziario largamente fuori controllo. Non importa che tante e così autorevoli voci si siano levate per chiedere una lunga serie di riforme per il settore; i risultati ottenuti sino ad oggi appaiono abbastanza magri e c’è da sperare poco in un cambiamento di strategie, ora che tra l’altro l’opinione pubblica comincia ad essere distratta da altri avvenimenti e da altri problemi. Speriamo che nuovi accadimenti negativi, che invece bisognerebbe solo temere, non facciano tornare presto in primo piano, e con una forza accresciuta, tutti i problemi sino ad ora non affrontati dai grandi della terra sul fronte finanziario.
Una delle pochissime aree nelle quali comunque qualcosa si è mosso e qualcosa d’altro sembra ancora potersi muovere è quella dei cosiddetti rifugi fiscali (tax havens).
E’ noto a tutti il caso dei tribunali Usa che hanno costretto la Svizzera a rivelare i nomi di alcune migliaia di evasori fiscali statunitensi, mentre ora anche la Francia sta cercando di andare per la stessa strada; attendiamo, a tale proposito, con molta fiducia che anche le autorità del nostro paese si muovano nello stesso senso. Sempre il governo francese sta ora facendo la faccia feroce con Montecarlo. Un po’ più remoto, ma non meno attuale, appare il caso delle autorità tedesche che hanno costretto quelle del Liechtstein a rivelare molte notizie, simili a quelle del caso Usa/Svizzera, che riguardavano i suoi cittadini.
Ma al di là di questi episodi, sembra delinearsi un consenso abbastanza largo a livello mondiale per cercare di ridimensionare l’operatività di questi tax haven, anche se bisogna sempre ricordare che gli stessi Stati Uniti e la Gran Bretagna presidiano all’interno dei loro confini delle zone franche fiscali di grande rilievo.
Il settimanale Observer d’inizio Settembre ricorda di alcuni sviluppi interessanti in proposito che stanno avvenendo in diverse delle isole che sono sotto l’egida del governo di Sua Maestà, nonché su qualche rifugio fiscale prossimo ai domini britannici. Bisogna intanto sottolineare che nella gran parte dei tax haven che citeremo il settore finanziario è il più importante datore di lavoro e quello che contribuisce di più al pil di tali aree. La crisi finanziaria ed alcuni problemi correlati, nonché la crescente ostilità dell’opinione pubblica mondiale, vi stanno ora provocando gravi problemi.
Per quanto riguarda l’isola di Man, il giornale ricorda come le autorità avessero a suo tempo portato a zero l’aliquota di imposta sugli utili delle società, ma come contemporaneamente il governo britannico versasse nelle casse dell’isola 200 milioni di sterline all’anno. Così tale territorio ha incoraggiato molte istituzioni finanziarie internazionali a insediarsi in loco. Ma ora la grave crisi finanziaria di una banca islandese, che aveva un’importante filiale nell’isola di Man, sta provocando una grave tempesta finanziaria sulla stessa isola che si trova a dover far fronte alla restituzione dei soldi versati dai risparmiatori presso la filiale locale della banca islandese.
L’ isola di Jersey ha seguito a suo tempo le orme di quella di Man, introducendo anch’essa un’esenzione fiscale totale sui profitti delle imprese. Ma questa decisione ha comportato un buco nelle finanze dell’isola, privandola di importanti risorse. Così, ironia della sorte, si è dovuto introdurre una tassa sulle vendite, ciò che ha provocato una rivolta degli isolani più poveri. Le cose sono aggravate dalla crisi finanziaria; così - ad esempio - una grande banca britannica ha ridotto il numero dei suoi dipendenti in loco, portando così ulteriori guai.
Un problema di crisi di bilancio sta toccando anche le isole Cayman, sino ad oggi domicilio dell’80% degli hedge fund del mondo e comunque il quinto centro bancario a livello mondiale. Il governo dell’isola ha tali problemi finanziari che non si può più permettere di pagare le pensioni degli impiegati pubblici e le spese del sistema sanitario, oltre che i fornitori correnti. Le autorità dell’isola sperano ora in un intervento finanziario del governo britannico, che è però molto incerto sul da farsi e che per il momento sta spingendo di nuovo il governo dell’isola ad aumentare le tasse.
Vicino alle isole Cayman si trova il piccolo stato indipendente di Antigua e Barbuda, coinvolto di recente nello scandalo Stanford. Lo scandalo ha comportato licenziamenti, perdite di bilancio importanti di alcune società finanziarie e così via. Il presidente venezuelano Chavez è dovuto di recente accorrere in soccorso del governo dell’isola con un versamento di 50 milioni di dollari. Intanto molti investitori statunitensi, messicani, colombiani, peruviani, hanno citato in giudizio per danni lo stato per presunta complicità con lo stesso Stanford.
Il governo britannico non ha alcuna responsabilità per quanto riguarda Antigua, che non è compresa nella sua giurisdizione, ma è invece coinvolto con quanto succede nelle isole Turks e Caicos; il governo locale è stato sospeso sotto l’ accusa di corruzione e sempre il governo britannico ha dovuto ristrutturare il debito pubblico dell’isola.
Poveri paradisi fiscali, visto come stanno le cose, viene quasi voglia a questo punto di aprire una sottoscrizione a loro favore. Cosa ne dite?