Le aggravate difficoltà dei paradisi
In un articolo pubblicato in data 16 settembre su questo stesso sito informavamo un po’ sinteticamente i lettori sulle difficoltà che alcuni dei cosiddetti tax haven, o “rifugi (paradisi) fiscali” in esercizio cominciano a registrare negli ultimi mesi e questo, oltre che in relazione alla crisi in atto, anche al fatto che la campagna e i provvedimenti internazionali contro gli stessi paradisi fiscali, cresciuti di recente in intensità, cominciano ad avere qualche effetto.
Nel testo sono ricordate molte novità, dalla lotta dei tribunali statunitensi contro una banca svizzera, l’UBS, per costringerla a rivelare un po’ di nomi di evasori fiscali, ad azioni parallele di Francia e Germania, alla crescente ostilità dell’opinione pubblica mondiale verso il fenomeno. Citavamo così le difficoltà dell’isola di Man, di quella di Jersey, delle isole Cayman, dello stato di Antigua e Barbuda, ancora infine delle isole Turks e Caicos.
Ora, il Guardian, con due articoli di f ine settembre, approfondisce ed aggiorna l’analisi per quanto riguarda in specifico le isole Cayman, un territorio britannico oltremare, capitale mondiale del settore degli hedge fund e comunque il quinto centro bancario in ordine di importanza del globo. In relazione a questi fatti, tradizionalmente il reddito pro-capite dell’area è tra i più elevati che ci siano.
La crisi economica e finanziaria locale si va ora aggravando di giorno in giorno, in relazione anche alle difficoltà proprio del settore degli hedge fund e al ritiro di molte società dalle isole. I responsabili politici del territorio si sono scagliati di recente contro il ministero degli esteri e per il Commonwealth britannico, che aveva proposto che il rifugio fiscale, per evitare un disastro finanziario imminente, introducesse una tassa sugli stipendi e sui salari pagati sull’isola. Gli stessi responsabili avevano in realtà chiesto precedentemente al ministero di essere autorizzati a accendere un prestito di 278 milioni di sterline per far fronte alle emergenze, ma l’organo inglese aveva rifiutato, facendo invece la controproposta sopra accennata e legando la possibilità di accedere a dei prestiti solo all’avvio di un nuovo approccio all’imposizione fiscale.
Comunque, se non arriva molto presto del denaro da qualche parte, il governo locale ammette che esso non sarà in grado di pagare ancora gli stipendi degli impiegati pubblici. D’altro canto, una parte almeno delle società residenti in loco minacciano di abbandonare l’area se fosse veramente introdotta la tassa sugli stipendi o anche, in alternativa, una sui patrimoni e/o sulle transazioni finanziarie. I responsabili dell’isola fanno intanto rilevare che dei possibili sviluppi negativi nel settore degli hedge fund danneggerebbero non solo il territorio, ma anche, contemporaneamente, la stessa City di Londra, visti gli stretti legami esistenti nell’operatività di tali due strutture.
In ogni caso sembra che, alla fine, un accordo di compromesso sia imminente, i dettagli del quale non sono chiari.
I responsabili dell’isola sono furiosi perché essi e gli altri rifugi fiscali sono stati additati a suo tempo dai leader del G-20 come corresponsabili della crisi finanziaria. Lo stesso Barack Obama, durante la campagna per le elezioni presidenziali, aveva additato proprio le Isole Cayman come uno dei rifugi fiscali più aggressivi al mondo. In ogni caso, nella lista grigia dei paesi “cattivi” sono elencati oggi 22 tax haven – la Svizzera è stata da poco cancellata dall’elenco vista la sua recentemente manifestata volontà di collaborazione-, mentre nei prossimi mesi la pressione su tali aree perché esse si mettano in regola dovrebbe aumentare anche di molto, in relazione all’imminente varo di alcune procedure di indagine sul fenomeno a livello internazionale.