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La situazione della crisi economica nei paesi sviluppati

14 ottobre 2009 0 commenti

smash-g20Il discorso fatto per i paesi emergenti si complica un po’, se lo si applica alla situazione dei paesi ricchi. Indubbiamente, sembra superato il punto più basso delle difficoltà e la catastrofe sistemica sembra evitata, anche se non vanno escluse minacce a breve termine. Ma la ripresa che si va configurando appare anemica, lenta, piena di problemi. Nessuno sa quando i livelli del pil del 2007 saranno raggiunti di nuovo, anche perché essi erano gonfiati dalla speculazione; ma ci vorranno comunque apparentemente diversi anni perché si configuri una possibile ripresa rispetto all’anno di riferimento citato, se mai questo accadrà veramente. Per il momento, la leggera crescita in atto qua e là sembra essere dovuta, in larga parte, alla ricostituzione degli stock delle imprese industriali, nonché  agli effetti degli interventi pubblici sul mercato, ma ad esempio tali effetti, in un paese come il Giappone, si vanno già esaurendo.

Sulla via di una ripresa piena dell’economia si ritrovano diversi ostacoli di peso molto rilevante:
1) intanto c’è il problema della capacità di spesa dei consumatori, in particolare in paesi quali gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Le classi medie e popolari di tali aree sono gravate di un grande cumulo di debiti arretrati e quindi, per almeno alcuni anni, esse si dovrebbero dedicare a ridurre il peso del loro indebitamento, risparmiando più di quanto abbiano fatto negli scorsi dieci anni; di conseguenza, il consumatore americano, in particolare per almeno un po’, non dovrebbe essere, come in precedenza, il motore dell’economia mondiale e, in ogni caso, i livelli di consumo dovrebbero mantenersi fiacchi a lungo, passato in particolare lo stimolo finanziario indotto dalle manovre del governo statunitense e che è in atto in questo momento;

2) la spesa pubblica per far fronte alle difficoltà si è enormemente dilatata nell’ultimo anno nella gran parte dei paesi ricchi, con conseguente aumento dei deficit di bilancio e del livello di indebitamento; quindi, nel prossimo futuro ci potremmo trovare di fronte ad un ridotto livello di stimolo indotto dalla spesa pubblica e, peggio, alla necessità di rientrare almeno da una parte dell’indebitamento, attraverso aumenti nel livello delle tasse (il governo spagnolo ha già cominciato a farlo), la riduzione dei programmi sociali, la spinta ad un rialzo dei tassi di interesse e del livello di inflazione, ecc.;

3)  la situazione dell’occupazione continua a peggiorare e tutte le previsioni dicono che essa si deteriorerà ancora almeno sino a tutto il 2010. Così abbiamo appreso che in Italia la disoccupazione  è aumentata in tre mesi di quasi 400.000 unità; in Gran Bretagna il suo livello ha raggiunto la punta più alta degli ultimi 13 anni. Le stime per il 2010 prevedono che negli Stati Uniti ed in Europa essa dovrebbe toccare  un livello compreso tra il 10% e l’11% -il 10,5% in Italia. E’ noto, peraltro, che quella reale è dovunque anche superiore, perché molti disoccupati, avendo  perso le speranze di trovare un impiego, non si iscrivono più nelle relative liste. Questo appare un altro fattore che tenderà a tenere bassi i consumi;

4) l’altro problema appare quello della ridotta capacità di prestito delle banche. Per quanto riguarda il settore finanziario, può sembrare che la situazione sia molto migliorata rispetto soltanto a qualche mese fa. Ma essa appare meno negativa intanto per le enormi somme di denaro e di garanzie che gli stati e le banche centrali  hanno riversato nel settore –solo gli Stati Uniti hanno messo a disposizione un totale di altre 13 trilioni di dollari-; inoltre, in questo momento, in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, grazie anche alla chiusura o all’assorbimento di alcuni istituti, il livello della concorrenza nel settore si è ridotto di parecchio e le banche possono prendere a prestito denaro a tassi molto bassi e prestarlo ad un mercato affamato di credito a tassi molto elevati, guadagnando margini di profitto insostenibili. Inoltre, la attuale permissività delle norme contabili permette comunque loro di mostrare una situazione finanziaria che è molto migliore di quella  reale.

E’ stato stimato che, comunque, le somme per ricapitalizzare adeguatamente il settore bancario negli Stati Uniti, portandolo proporzionalmente ai livelli della metà degli anni novanta, sono colossali e stimate intorno ai 1700 miliardi di dollari, cifra che il sistema finanziario non sa dove trovare. Intanto sia a livello statunitense che europeo, che anche se prendiamo in considerazione le decisioni del G-20, si pensa ad intervenire sui livelli di capitalizzazione delle banche e sul sistema di regolazione e controllo, ma ci sembra che l’insieme dei provvedimenti, di cui peraltro non si sa se, quando  e quanto saranno veramente portati avanti, è comunque largamente al di qua di quanto sarebbe necessario, di fronte ad un sistema finanziario che oggi appare persino peggiore nei suoi meccanismi di funzionamento di quanto fosse prima della crisi. Ad esempio, non si provvede adeguatamente ad affrontare il tema delle banche “too big to fail”, gli istituti cioè che sono diventati troppo grandi come dimensioni e che, da una parte, presentano insolubili problemi di governo e di controllo, dall’altra, in caso di difficoltà,  godrebbero  necessariamente del  supporto pubblico per non fallire e così, in caso di crisi, potrebbero trascinarsi dietro in maniera rovinosa gli stessi governi.

La conseguenza di tutto questo è comunque che il sistema finanziario sta selezionando molto la concessione del credito al mercato, riducendo  il suo livello di erogazione complessivo; ne soffrono, in particolare, le piccole e medie imprese, le iniziative imprenditoriali di nuova costituzione, i paesi poveri, i privati delle fasce più umili.