Il giusto prezzo dell’equo
Sono ormai all’incirca 25 anni che il movimento per il commercio equo e solidale opera nel mondo con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei contadini poveri dei paesi del Terzo Mondo. E indubbiamente in questo arco di tempo non sono mancati i successi anche rilevanti per tale movimento. Ma, come per tutte le organizzazioni, accanto ai punti positivi o molto positivi, si sono manifestati anche dei problemi e delle difficoltà di qualche peso.
Come è noto, il movimento per il commercio equo opera con l’obiettivo di cercare di acquistare i prodotti delle campagne del Sud del mondo a prezzi più elevati di quelli dei mercati internazionali e a trovare degli sbocchi commerciali crescenti a tali prodotti; parallelamente si sforza per assistere gli stessi contadini dal punto di vista tecnico, organizzativo e finanziario. E veniamo a qualche problema: accanto a quelli tradizionali di tipo organizzativo, interni alle strutture che si occupano del tema in Occidente (ricorderete l’ottimo libro di Gavelli e Guadagnucci o i testi della professoressa Viganò) e che mi sembra che, almeno in Italia, non siano marginali, un recente articolo apparso sul settimanale “Time” (Fair trade: what price for good coffee?) - ci ricorda quello relativo all’insufficiente prezzo di acquisto dei prodotti, concentrando l’attenzione in particolare sul mercato del caffè nei paesi dell’America Latina.
Il business del caffè a livello mondiale pesa per circa 70 miliardi di dollari all’anno e la quota trattata dagli organismi del commercio equo e solidale è di circa 1,75 miliardi di dollari. Ricordiamo anche che, della torta globale, ai produttori dei paesi poveri vanno alla fine soltanto 5 miliardi di dollari.
Le organizzazioni internazionali (la Flo e la Wfto) fissano in pratica i prezzi e gli standard produttivi a livello mondiale nella fascia di mercato che ci interessa. Ma tali prezzi sono oggi soltanto del 10% all’incirca più elevati di quelli di mercato e molti agricoltori dei paesi dell’America Centrale non ce la fanno comunque ad andare avanti con tali condizioni. Attualmente il prezzo fissato dalla FLO è di 1,35 dollari alla libbra, valore più alto di 15 centesimi rispetto a quello di mercato, ma il prezzo che sarebbe necessario perché i contadini escano dal livello di sussistenza cui sono oggi condannati è, come mostra una ricerca in argomento, superiore ai 2 dollari.
Questa “scoperta” rischia indubbiamente di demoralizzare diversi tra quelli che cercano di lavorare con il massimo impegno nel settore. Per altro verso, per la FLO alzare i prezzi in maniera significativa significherebbe alla fine ridurre la penetrazione del caffè equo e solidale sui mercati occidentali, sui quali l’organizzazione sta ottenendo invece negli ultimi tempi rilevanti successi; anche Starbucks, la grande catena di caffetterie statunitense, è tra i clienti del settore ed assorbe anzi da sola circa il 40% degli acquisti totali degli Stati Uniti.
Così la stessa FLO sta cercando di portare avanti altri strumenti con cui aiutare i contadini del Terzo Mondo. In particolare, essa sta perseguendo delle politiche volte ad aumentare l’estensione dei prestiti che concede alle campagne, mentre si sta inoltre sforzando di fornire assistenza tecnica sempre più qualificata per aiutarli a far crescere migliori qualità di caffè - che ottengono di solito prezzi più elevati sul mercato- e sta provando infine ad aggiustare meglio la politica degli stessi prezzi collegandoli, in particolare, all’andamento dei livelli di inflazione.
Ma indubbiamente i problemi rimangono…