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Alcune riflessioni sulla particolare situazione spagnola

30 ottobre 2009 0 commenti

madridLa Spagna - dopo il buio periodo franchista - ha successivamente vissuto un miracolo economico e politico molto significativo. Partito da un livello di sviluppo molto ridotto, in pochi decenni il paese è riuscito a far crescere la propria economia a ritmi molto sostenuti, tanto che meno di un paio di anni fa Zapatero ha potuto annunciare, con nostra grande sorpresa, che il reddito pro-capite del paese aveva raggiunto e persino superato quello della stessa Italia. Anche se questo risultato appare, per la verità, piuttosto controverso, comunque il fatto stesso che se ne possa parlare indica quanta strada è stata fatta nella sostanza nell’ultimo periodo.

Nel frattempo, i successi elettorali e politici del partito socialista, sia pure con qualche oscillazione nel tempo, hanno suscitato molta invidia in diversi ambienti della sinistra italiana, in particolare più recentemente con l’entrata in scena di Zapatero che - tra l’altro - è riuscito a portare avanti dei provvedimenti  sul fronte delle libertà civili che nel nostro paese sarebbero impensabili.

Per molti aspetti, nell’ultimo decennio hanno suscitato grande impressione e meraviglia gli investimenti esteri delle grandi imprese e delle grandi banche del paese, che hanno indirizzato la loro rilevante espansione in misura privilegiata verso l’area dell’America Latina e verso gli altri paesi europei, senza neanche trascurare gli stessi Stati Uniti. Nel continente sudamericano, in particolare, il capitale spagnolo è diventato un protagonista di tutto rilievo della scena economica locale, mentre quello italiano, che una volta aveva una presenza di rilievo nell’area, ha perduto una parte importante delle sue posizioni.

Ma, negli ultimi mesi, le cose non sembrano più marciare come prima, tanto che qualche commentatore - come l’Economist di fine Luglio - è arrivato a parlare di progressiva “italianizzazione” del paese. Mentre sul terreno economico arrivano ora delle notizie piuttosto catastrofiche, su quello politico le cose non sembrano andare per alcuni versi molto meglio. Ha molto sorpreso l’opinione pubblica, ad esempio, il fatto che un quotidiano come El Pais, nella sostanza l’equivalente nel paese del nostro La Repubblica, e che in passato ha sempre sostenuto i socialisti, si sia invece negli ultimi mesi messo di traverso, attaccando anche duramente il governo attualmente in carica. Cosa sta nella sostanza succedendo?

Sul terreno economico, intanto, la crisi ha mostrato la fragilità delle basi tecnologiche ed organizzative delle imprese spagnole. In realtà, più in generale,  è entrato in crisi un modello di sviluppo concentrato troppo sul turismo da una parte, su di un’espansione senza misura  delle attività immobiliari dall’altra; ambedue i settori si basano poi su di una forza lavoro poco qualificata, mentre  sono comunque ad alta intensità di lavoro. Ora un milione e mezzo di appartamenti giacciono invenduti sul mercato. Il livello della disoccupazione, sempre tradizionalmente alto nel paese, ma che nell’ultimo periodo era sceso sino al 10-11%, è ora tornato ai livelli del 19 % circa. La bilancia commerciale, secondo gli ultimi dati disponibili,  viaggia intorno ad un deficit di circa 85 miliardi di dollari su base annua, cifra apparentemente colossale per un paese delle dimensioni di quello iberico. Il deficit di bilancio, in passato molto moderato, è previsto intorno al 10,6% del pil per il 2009. Un pacchetto di provvedimenti per stimolare l’economia, insieme ad una rilevante caduta delle entrate fiscali in  relazione alla crisi, hanno contribuito a produrre questo disavanzo. Lo stesso pil dovrebbe scendere del 3, 7% nel 2009. Si tratta di dati certamente non molto incoraggianti. Si prevede che probabilmente quella spagnola sarà l’ultima economia europea ad uscire dalla crisi.

Comunque, il caso spagnolo dimostra che la crisi in atto assume caratteristiche almeno in parte diverse da paese a paese. Mentre, in effetti, il settore immobiliare e, più in generale, l’economia reale soffrono, il comparto finanziario sembra invece godere di ottima salute, al contrario che in altri paesi. La banca Santander, che è diventata la banca più importante della zona euro, ha ottenuto profitti per 4,5 miliardi di euro nel primo semestre del 2009, mentre la BBVA ha fatto utili per 2,8 miliardi nello stesso periodo. Tra le cinque banche più redditive al mondo nel 2008, secondo almeno la classifica della rivista britannica The Banker, tre sono cinesi e due spagnole. Tra l’altro, a suo tempo, una banca centrale lungimirante aveva dettato agli istituti finanziari del paese regole molto più restrittive di quelle degli altri stati occidentali e questo ha prodotto il risultato che le banche spagnole sembrano aver resistito molto bene alle turbolenze dell’economia e della finanza mondiale. Così, le regole spagnole in tema di capitale e di attività fuori bilancio  sono prese oggi nel mondo come un esempio da imitare. Gli osservatori internazionali, per la verità,  aspettano comunque gli istituti del paese al varco delle possibili perdite su crediti che esse potranno dover sostenere in relazione al pessimo andamento di una parte importante delle imprese nazionali.

Il governo è stato così costretto a varare un budget di austerità per il 2010; esso prevede tagli alle spese ed anche un aumento di tasse per un ammontare di circa 12 miliardi di euro, misure che, secondo noi, molti altri governi saranno costretti a mettere in campo nei prossimi anni. La previsione di un aumento delle imposte   riguarda quelle sul reddito, l’iva, nonché un prelievo sugli  interessi attivi e sui guadagni in conto capitale. Invece, vengono ridotte le imposte gravanti sulle piccole imprese. Si tratta di un cambiamento di rotta a 180 gradi rispetto ad un passato molto vicino. In effetti, Zapatero, negli anni scorsi, aveva ridotto le imposte sugli utili delle società ed aveva abbassato l’aliquota massima dell’imposta sui redditi. Peraltro, il capo del governo ha promesso soldi a molte categorie sociali,dai governi regionali ai disoccupati di lungo termine. Il suo modo di affrontare i problemi, in passato, è stato molto di frequente proprio quello di concedere denaro alle categorie e alle regioni, a partire dalla Catalogna, che protestavano. Ma ora non lo può più fare come prima.

In ogni caso, il governo sta pensando anche ad una possibile via d’uscita di lungo termine dalle difficoltà. Così, nel novembre di quest’anno dovrebbe essere approvata la cosiddetta legge per l’economia sostenibile,  che stanzia 20 miliardi di euro. Tali fondi  dovrebbero essere impiegati per aiutare la ripresa dell’economia e in particolare per sostenere progetti sostenibili dal punto di vista sociale ed ambientale. Con questo provvedimento, ed altri che dovrebbero seguire, il governo spera di rinnovare la sua capacità di innovazione e di cambiamento, mettendo a punto un nuovo modello di sviluppo per il paese. Intanto il quotidiano El Pais ha bollato le misure previste per il budget 2010 come incoerenti; esse rappresenterebbero inoltre, per lo stesso giornale, un passo indietro di rilievo. Ma l’ira del quotidiano si concentra su di una nuova legge per il settore audiovisivo, che regola in particolare il digitale terrestre. Il gruppo di cui fa parte El Pais –e che possiede due reti televisive ora in difficoltà finanziarie-, si sente molto danneggiato da questo provvedimento, che favorirebbero invece un gruppo rivale, anch’esso amico del governo in carica.

Sul terreno politico, dopo la vittoria alle ultime elezioni, Zapatero ha formato un governo debole e pieno di personalità scialbe, avendo dovuto soddisfare gli appetiti delle molte correnti e tendenze che si agitano intorno allo stesso governo. Di recente è stato fatto un rimpasto che però migliora soltanto in parte le cose. Intanto le sue battaglie laiche, portate avanti con decisione, suscitano l’opposizione forsennata della chiesa e del partito popolare, che peraltro, per fortuna del primo ministro, deve in questo momento cercare di ripulire le proprie strutture, impelagate in un rilevante scandalo finanziario. La situazione appare comunque difficile. Riuscirà il governo a cancellare la tendenza da parte degli osservatori internazionali a considerare che nello sviluppo del continente europeo si ripropone ora una distinzione sempre più netta tra aree centrali -Germania e Francia- ed aree periferiche di Spagna ed Italia? L’Italia, da parte sua, non sembra certamente in misura, almeno per il momento, di rovesciare la tendenza.