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Alcune riserve sulla spesa militare americana

13 novembre 2009 0 commenti

c-17_globemaster_iii_screensaver_27639Difficile dare una valutazione sicura sull’operato dell’amministrazione Obama, visto il relativamente poco tempo che è passato dal suo insediamento alla presidenza degli Stati Uniti. Ciononostante si  può azzardare che - mentre su alcuni fronti essa riesce a non deludere del tutto le attese della vigilia - su quello della politica militare le riserve sulle sue attività appaiono e con ragione molto vaste; va forse riconosciuta  qualche attenuante a causa  dei pesanti condizionamenti cui essa è sottoposta e per le forti resistenze che vengono dallo stesso Congresso, organismo pesantemente infiltrato dalle attività di lobbying dei diversi e potenti gruppi di interesse del paese.

E’ noto che il governo statunitense vuole ristrutturare in maniera importante la spesa militare del paese. Finita l’epoca della guerra fredda, lo sforzo dovrebbe essere ora maggiormente diretto, almeno ufficialmente,  verso gli obiettivi di “counterinsurgency”; questo dovrebbe significare, in particolare, un mutamento rilevante nel tipo di hardware bellico da utilizzare. Si dovrebbe in effetti passare dagli armamenti pesanti della fase precedente, che prevedevano grandi battaglie in campo aperto,  ad una strumentazione più leggera e meno costosa. Così, in effetti, una mezza dozzina di importanti sistemi d’arma sono stati eliminati dai programmi, con un risparmio stimato di più di 100 miliardi di dollari nei prossimi decenni.

Ma tutto questo non significa purtroppo che la spesa militare del paese sia necessariamente destinata a ridursi; anzi, le previsioni per il prossimo anno sono per un ulteriore aumento del 5% in un programma di attività complessivo che appare già quantitativamente enorme. Tra l’altro, da soli gli Stati Uniti spendono  per il settore militare sostanzialmente  quanto il resto del mondo messo assieme.
Un articolo di Business Week del 9 novembre 2009 ci informa su alcuni aspetti poco esemplari di tale sforzo bellico e ci spiega in particolare perché sia così difficile ridurre la spesa in tale settore. La rivista ci ricorda intanto che la possibile cancellazione di qualche programma militare si scontra quasi sempre con l’opposizione di alcuni membri del Congresso, che cercano di proteggere l’occupazione nei distretti geografici in cui sono stati a suo tempo eletti. I deputati e i senatori si alleano così di solito con le grandi imprese del settore militare, dalla Boeing alla Lockheed, per respingere certe velleità governative di chiusura di qualche programma; e questo  anche quando lo stesso Pentagono dichiara che certi progetti non sono  di alcuna utilità alla loro attività. In parecchi casi, anche i sindacati si uniscono a questa attività di lobbying verso il governo.

Un esempio tipico di resistenza al cambiamento, come riporta il settimanale statunitense, è quello relativo alla produzione dell’aereo C-17 Globemaster, che è un  grande velivolo da trasporto  prodotto dalla Boeing e che costa 250 milioni di dollari a pezzo. Esso, in opera dal 1993, è usato per trasportare truppe, carri armati, rifornimenti ed è impiegato largamente, ad esempio, in Iraq e in Afganistan. Dal 2006 ad oggi il Pentagono ripete in tutti i modi che non gli servono più nuovi aerei di questo tipo, avendone già in numero più che abbondante  ed ogni anno, invece, il Congresso approva lo stanziamento di altri fondi per nuovi esemplari del velivolo incriminato. Anche quest’anno, in ottobre, il Senato ha stanziato altri 2,5 miliardi di dollari per alimentare un programma di acquisto di dieci nuove unità.

La Boeing ha sviluppato una strategia molto efficace per mantenere in vita il progetto considerato; la produzione dell’aereo è in effetti distribuita in ben 43 stati dell’Unione e la società impiega 30.000 persone relativamente ben pagate nelle attività connesse a tale programma, una parte delle quali perderebbe il posto in caso di stop. Così i rappresentanti della gran parte degli stati, nonché i sindacati,  alleati in questo caso all’azienda, sono favorevoli a proseguire l’attività anche negli anni futuri. Il senatore J. McCain ha vanamente tentato di opporsi al progetto presentando una mozione di aspra critica a tale spesa, ma essa è stata facilmente sconfitta nella votazione in aula per 68 voti contro 30. Qualcuno ha chiesto alla Boeing che almeno il prezzo dei singoli velivoli fosse abbassato a 200 milioni di dollari ciascuno, invece dei 250 correnti, ma sembra difficile che la società accetti la proposta, visto che essa si trova nella sostanza, almeno in questo caso, in una botte di ferro…