Dal greco οἴκος – casa – e νόμος – norma
“…abbiamo truccato i conti per troppo tempo…” Y. Pretenderis (giornalista)
“…che voi siate Dubai, la Grecia, la Spagna, l’Irlanda o la Gran Bretagna potete stampare quanta moneta o quanti titoli di stato vogliate, ma alla fine della giornata dovete comunque pagare gli interessi sul vostro debito…” J. Tepper (analista finanziario londinese)
De te fabula narratur, si potrebbe dire commentando sinteticamente quanto sta succedendo alla Grecia, ma pensando anche all’Italia ed anche alla Spagna, nonché ad altri paesi, visto che la lista comincia a farsi abbastanza lunga. In altre parole, dopo le banche, la crisi tocca ora gli Stati?
Le cronache finanziarie ci dicono che in queste settimane il paese nostro vicino è in grosse difficoltà, trovandosi - tra l’altro - sotto il tiro incrociato dei mercati finanziari e dell’Unione Europea. Le notizie arrivano mentre scoppia anche il caso del Dubai e i due fatti ci portano ancora una volta a sottolineare come la crisi in atto, lungi dall’essere esaurita, prosegua ora il suo corso per vie tortuose e complicate; le vicende ci ricordano anche come in finanza le varie cose siano spesso legate tra di loro da fili invisibili. La verità è che alcuni degli squilibri - quali l’eccessivo indebitamento - che erano all’origine della crisi in atto nel mondo non sono certo scomparsi e che quindi il sistema resta instabile. Così, nella settimana della crisi di Dubai, il costo per assicurarsi contro il possibile default della Grecia attraverso i ben noti e famigerati CDS è aumentato del 16%. Intanto, il volume di attività sullo stesso mercato dei CDS trova in questo momento l’Italia al primo posto tra i vari paesi del mondo: gli investitori cominciano a essere nervosi sulle prospettive del nostro paese.
Certamente un bel traguardo. Intanto, lo spread tra il rendimento dei titoli pubblici tedeschi e quello dei buoni del tesoro greci ha raggiunto e poi superato i 200 punti base. Vediamo come stanno veramente le cose più da vicino, almeno per quanto riguarda la Grecia; si può forse partire dal fatto che la nuova compagine socialista uscita di recente dalle urne ha raccolto una eredità molto pesante visto che il precedente governo conservatore aveva affermato che il deficit di bilancio del paese per il 2009 sarebbe stato pari a circa il 6% del pil, mentre in realtà il nuovo governo deve ora constatare che invece esso raggiungerà il 12,7%, una cifra più che doppia.
Quella della scarsa attendibilità delle cifre ufficiali non è peraltro una novità nel paese. Lo stesso piccolo scherzo, anche se di entità meno grave, era stato fatto nel 2004 dagli stessi socialisti al nuovo governo conservatore di allora. Implicitamente, queste vicende contribuiscono a spiegare anche il desiderio del nostro governo di mettere le mani più da vicino sull’Istituto di Statistica. Più o meno allo stesso livello della Grecia come ammontare percentuale del deficit sul pil per il 2009 troviamo la Gran Bretagna, mentre subito dietro arrancano la Spagna e l’Irlanda.
Per quanto riguarda invece il rapporto tra il debito pubblico complessivo - tra l’altro, posseduto per circa due terzi da investitori stranieri - e il pil è in atto in questo momento una appassionante gara tra la Grecia e l’Italia per conquistare la prima posizione tra i paesi europei, posizione che sino a ieri era una nostra prerogativa indiscutibile. Così per i nostri concorrenti il rapporto potrebbe raggiungere nel 2010 sino al 130% del pil, mentre per quanto ci riguarda esso dovrebbe aggirarsi più o meno nei paraggi, previsto com’è intorno al 127,3%. Si accettano scommesse su chi alla fine raggiungerà la vetta più alta. Tra l’altro, il gettito fiscale greco è crollato, mentre anche le promesse elettorali hanno contribuito al disastro.
L’agenzia Fitch ne ha subito approfittato per tagliare il rating del paese da A ad A- e per poi eseguire un ulteriore abbassamento sotto il livello A. Il primo ministro, G. Papandreu, agita la minaccia di una bancarotta, e afferma che quella presente è la peggiore crisi economica dal tempo del ristabilimento della democrazia nel 1974. Intanto la Commissione europea promette delle sanzioni; sulla sua linea di mira stanno anche peraltro, subito dopo il paese ellenico, la Spagna, l’Italia, il Belgio, il Portogallo e persino la Francia, insomma tutta l’allegra area latina. Il servizio del debito assorbe ormai in Grecia circa 12 miliardi di euro all’anno, mentre si vanno scatenando le pressioni speculative.
Dietro queste cifre stanno molti anni di spese incontrollate, sino all’evento clou dei costosissimi giochi olimpici del 2004, nonché, appunto, i vari trucchi escogitati nel tempo per nascondere la voragine finanziaria.
Il tasso di disoccupazione, che era del 7,7 della forza lavoro nel 2008, raggiungerà quest’anno il 9,3%, mentre le previsioni per il prossimo anno parlano di una cifra che si dovrebbe aggirare intorno al 10,5%.
Intanto la situazione economica sottostante si fa pesante: i negozi sono vuoti, il turismo è in serie difficoltà, il settore immobiliare è crollato; l’altro volano importante dell’economia, il business navale, soffre fortemente per la contrazione del commercio internazionale, che ha portato al blocco degli ordinativi per nuove commesse e al parallelo crollo delle tariffe dei noli. Insomma, l’economia greca appare non competitiva e minacciata di una morte lenta. Il caso vi ricorda qualcosa?
Sul fronte finanziario, il sistema bancario sembra in difficoltà, tra l’altro essendo tra quelli più dipendenti, a livello europeo, dai sostegni d’emergenza della BCE; ma la banca a fine dicembre potrebbe interrompere gli intensi programmi di finanziamento, a tassi di interesse molto bassi, al sistema, che erano stati posti in essere per aiutare a fronteggiare la crisi. La banca statunitense Goldman Sachs ha calcolato che paesi quali l’Italia, la Grecia e la Spagna avrebbero bisogno di una svalutazione del tasso di cambio del 30% con il resto del mondo per ritrovare la competitività perduta, cosa manifestamente impossibile. Non resta, per gli ambienti economici conservatori, che un più elevato tasso di disoccupazione e una ulteriore “flessibilizzazione” dei salari. Ma a quale livello di disoccupazione la questione sarebbe risolta? Nessuno lo dice.
Il governo greco ha comunque varato un piano di ristrutturazione. Così il deficit di bilancio per il 2010 è stato previsto come pari “soltanto” al 9,1% del pil, risultato da raggiungere attraverso la messa in ordine dei conti pubblici e la lotta contro gli sprechi, che in Grecia sono ancora più sistematici che da noi, infine con un qualche aumento delle tasse sui profitti delle imprese e dell’Iva. Si promette poi tra l’altro –che sorpresa!- una lotta all’evasione fiscale e una ristrutturazione del sistema pensionistico, con l’allungamento dell’età pensionabile.
In caso di guai ulteriori, per la Grecia come per altri paesi latini, non resta che sperare nella promessa di intervento finanziario di salvataggio fatta qualche tempo fa dai tedeschi ed in quello più generale dell’Unione Europea.
Quest’ultima non sembra peraltro fidarsi molto delle promesse di riequilibrio fatte dai governanti del paese ellenico e pone condizioni severe per un suo eventuale intervento. Ora, gran parte del progetto di risanamento previsto dal budget per il 2010 dovrebbe arrivare da un aumento delle tasse, mentre i funzionari di Bruxelles richiederebbero che si proceda soprattutto con dei tagli alle spese. Non mancano forse, a questo proposito, anche possibili pensieri nascosti da parte di qualche burocrate conservatore che spera di mettere in difficoltà un governo socialista.
P. S. a stesura dell’articolo ultimato apprendiamo che i cinesi sarebbero disponibili a fornire una boccata d’ossigeno al paese, investendovi diversi miliardi di dollari nel settore dei trasporti marittimi…
Quanto al nostro paese, nessuno ci vuole comprare?