Home » Mariateresa Alvino » biodiversità, Mare »

Metti un cefalo nel piatto

22 giugno 2011 0 commenti

Corey Arnold

Corey Arnold

Tra mostre con vecchie foto di una pesca artigianale che non c’è quasi più, cene per riportare nel piatto pesci dimenticati e snobbati, perché non assomigliano al pesce-bistecca senza ossi né spine, tavole rotonde con studenti e pescatori, guide al pesce sostenibile, incontri istituzionali si è chiusa, qualche giorno fa, la Settimana europea della pesca promossa da OCEAN2012 con oltre 50 eventi in tutto il Vecchio continente. Un’iniziativa per ribadire che oltre il 70% degli stock ittici europei sono in serio pericolo e che ritornare a fare le cose come si facevano in passato, può essere in realtà il vero back to the future. Per ricordare, inoltre, che abbiamo a disposizione 700 specie di pesci commestibili, ma soprattutto che ne consumiamo meno del 10%, perché finiamo troppo spesso con il comprare e mangiare non più di dieci specie in tutto.

Una gran quantità di pesce buono da mangiare, com’è ormai noto, viene ributtato a mare morto, perché ritenuto poco remunerativo, diventando discard, ossia scarto buono almeno per gabbiani di passaggio e altri pesci. Così siamo rassegnati alla triste mono-dieta fatta di tonno e pescespada (specie al collasso, pescate in modo eccessivo e in Italia anche in modo illegale), orate, spigole, rombi di misura standard perché quasi sempre di allevamento, e qualche gambero asiatico o filetto di pangasio del Mekong  che costa meno soldi e un sacco di CO2 in più, visto il lungo viaggio che fanno prima di arrivare nei nostri pigri tran tran alimentari.

Nutrizionisti ed esperti , invece, ci dicono di diversificare le diete, di smettere di essere pigri, di ammettere che i pesci hanno le spine e, quindi, di scegliere senza remore alici, sgombri e cefali. Osare con lampughe, palamiti, lecce, zerri, cappellani, aguglie; non esitare di fronte a surici, sugarelli, pagelli e cicerelli detti anche aluzzetielli o luzzetielli. Tutte specie che abbondano nel Mare Nostrum, vale a direStrascico il pescatore rimane con il gambero in bocca per scaramanzia e augurarsi una buona pesca pescabili, consumabili, cucinabili senza limiti. Certo è un’impresa conoscerli e riconoscerli, trovarli sui banchi del mercato o nei menù dei ristoranti.  Eppure non sembra esistere altra strada che quella di valorizzare pesci come questi, visto lo stato in cui versano i nostri mari.  Il panel di esperti che lavora sotto le insegne dell’IPSO (International Programme on the State of the Ocean), insieme a IUCN e WCPA, ha in questi giorni rese note le conclusioni di un anno di incontri e studi interdisciplinari: gli oceani potrebbero subire una fase di estinzione delle specie marine che non ha precedenti nella storia dell’uomo, minacciati da riscaldamento globale, inquinamento e pesca eccessiva. La riforma della Politica Comune della Pesca attesa in Unione europea entro il primo semestre del 2013 appare come una speranza e insieme come un impegno ineludibile per scongiurare estinzioni epocali. Per non dire quanto una speranza finiscano con l’essere in prima battuta proprio consumatori e addetti ai lavori che, consapevoli e convinti, rinuncino a tartare di tonno e carpacci di pescespada. A Quarto in provincia di Napoli, per esempio, la chef Marianna Vitale ha deciso che nel suo giovane Ristorante Sud non dovessero trovare asilo i soliti pesci ‘blasonati’ – come li definisce lei –  e sfruttati come tonno rosso, pescespada e merluzzo. Nel piatto mette il cefalo su crema di zucchine e zucchine croccanti, o su guazzetto di frutti di mare e peperoni.  Mette anche alici, sgombri, lecce, palamiti. Dipende da quel che stagione, territorio, mercato e mare locale offrono. Il gusto al servizio del futuro? Provare per credere…