Il mese delle “rotonde fole”…
Il mese delle “rotonde fole”, delle “balle”. Vale a dire , la disinformazione sul “nuovo” Regolamento europeo sulla pesca in Mediterraneo. Pensavo che la disinformazione s’applicasse a casi ben più gravi. Al caso Ustica, alla strage dell’Italicus, a quella di Bologna …
E invece – voilà – anche alla pesca: anche alle maglie quadrate della rete a strascico, anche al bianchetto, alle reti da posta, alle telline, alle “sardelle”. Tutte queste “pesche” si sono meritate un aggettivo fuorviante. Chissà se è stata scelta voluta, caso o frutto d’ignoranza?.
Un aggettivo che continua ad imperversare nelle cronache dei media: NUOVO.
Il primo giugno è entrato in vigore il “nuovo” Regolamento europeo 1967/2006 detto Regolamento Mediterraneo.
Badiamo ai fatti.
La suddetta “novità” è stata emanata il 21 dicembre 2006, tre anni e mezzo fa. Dopo essere stata discussa in Comunità Europea nel 2004, sei anni e mezzo fa. Alle suddette “nuove” regole siamo andati in deroga nel 2008, due anni fa. Giunti a fine maggio 2010, non abbiamo più possibilità di andare in deroga per alcune attività di pesca (è inderogabile lo strascico costiero entro le tre miglia), mentre si possono ancora derogare le “pesche speciali” o la distanza minima dalla costa (1,5 miglia nautiche, e mai a profondità inferiore ai 50 metri) previa approvazione di piani di gestione da parte di un comitato scientifico predisposto dalla Comunità Europea.
Prima domanda: si tratta di NUOVE regole?
Seconda domanda: sono stati fatti i piani di gestione? Pochi e mal fatti. Così dicono i documenti prodotti a Bruxelles.
Il WWF (in Italia, Francia, Spagna, Grecia) ha preparato un dossier sul livello d’applicazione del Regolamento Mediterraneo. Gli Stati sono stati inadempienti. L’Italia è, quindi, in buona compagnia.
Il Commissario europeo alla Pesca, la greca Damanaki, è donna tosta. Il 10 giugno scorso così tuonava da Bruxelles: “Gli Stati membri hanno avuto un periodo superiore a tre anni per conformarsi alle norme. Si tratta di norme che gli Stati membri hanno unanimemente [anche l’Italia, badiamo bene!] adottato nel 2006, sulla base di un compromesso raggiunto modificando la più ambiziosa proposta della Commissione. È arduo accettare che oggi essi non intendano o non possano attuare neppure il compromesso del 2006. Sono veramente delusa.”
Ma i pescatori continuano a protestare.
Il ministro Galan aggiunge: “Sono pronto a mettere tutto il mio impegno per rappresentare le istanze dei pescatori […]. Avviamo un processo per una pesca italiana pronta ad affrontare le nuove sfide che il Regolamento Mediterraneo ci impone, mettendo in campo anche la ricerca per valutarne gli impatti. Senza illudere nessuno, ma anche senza rinunciare alla possibilità di essere gli attori del governo del settore, utilizzando al meglio la legge delega, acquisendo autorevolezza nel dibattito comunitari della nuova PCP [Politica Comune della Pesca], partendo da una forte spinta evolutiva da dare alla nostra pesca”.
Esatto – questo è il punto – la pesca italiana deve evolvere.
Viene creata una Unità di Crisi (si conferisce tale potere alla Commissione consultiva centrale, prevista dalla legge 154/2004). Il primo incontro si tiene il 14 giugno scorso.
Queste le conclusioni del Sottosegretario Buonfiglio: “La mancanza di concretezza e progettualità con cui si è conclusa la riunione dell’Unità di Crisi è conseguenza ineluttabile della scelta di affidare la soluzione dei problemi della pesca agli stessi soggetti, pubblici e privati, che nel corso degli ultimi anni sono stati testimoni, a volte silenti, delle difficoltà che si andavano producendo”. Poi continua: “Nello scorrere i nomi di coloro che coadiuveranno il Ministro nell’individuazione di soluzioni […] ho ritrovato i dirigenti che dal 2006 hanno avuto la responsabilità amministrativa del settore in assoluta autonomia che ha persino consentito loro di disattendere, a volte, le direttive dei vari ministri o delegati di governo. Ad affiancare i dirigenti, ci saranno i rappresentanti delle associazioni nazionali di categoria che, a seconda dei contesti e dei momenti, si sono mostrate, alternativamente, barricadere o filogovernative”. Per questo motivo, dubita che centralmente si possa risolvere il problema e confida nel rapporto diretto con i pescatori.
La pesca e soprattutto i pescatori devono evolvere, altrimenti l’estinzione è prossima. Urge come non mai la nascita di nuove figure professionali, che operino nel rispetto delle regole e dell’ambiente, che si diversifichino nelle attività, e che mettano a frutto il loro sapere, che influenzino la politica locale e comunitaria, che si riconcilino con il settore della ricerca, che comprendano il valore oggettivo del dato scientifico, che promuovano la nascita di scuole per la formazione delle nuove leve. Il fatto che vadano in mare in “cerata e stivali” non li rende diversi dai piccoli imprenditori del triveneto. È l’ora di cambiare. È l’ora di ammettere che certo pesce non c’è più. Che è stato pescato tutto. Mangiato tutto.
Il pescatore può avere un ruolo di co-gestione di un territorio (zone di tutela biologica, siti Natura 2000, Fishery Protected Areas), ma deve passare attraverso un’assunzione di responsabilità pubblica dell’impatto che ha sull’ambiente. Non può dirci a parole che vuole difendere il mare, e poi non volere la maglia quadrata nella rete dello strascico. Perché lo sa – anche se non l’ammette – che senza maglie strette non pesca nulla.
Ambientalisti, consumatori e cittadini stanno aspettando questi “uomini nuovi”. Anche i pesci.