Il baratto di Nonna Sara
Ho conosciuto sabato sera una donna davvero interessante: nonna Sara, nata nel ‘32 e madre di cinque figli. Nonna Sara mi ha raccontato della sua vita in un piccolo paese della provincia di Cagliari, primogenita vivente di una famiglia composta da 16 figli di cui solo 9 restati in vita. Mi raccontava che settant’anni fa la mortalità infantile era altissima, che prima di lei erano nati altri 6 bambini tutti morti per malattie varie: dalla pertosse alla meningite.
I suoi genitori lavoravano gran parte del giorno e i figli grandicelli badavano ai bimbi piccoli: il padre era conciatore di pelli e produceva attezzi agricoli; la mamma era sarta e balia. Con i lavoro però non guadagnavano soldi ma il necessario per sopravvivere. Mi diceva nonna Sara, con il suo dolce accento sardo:
Venivano da mio padre tutti i contadini della zona: avevano bisogno degli attrezzi e di oggetti in pelle come guanti, grembiuli, stivali e mio padre non prendeva soldi ma voleva il grano che loro producevano. Per ogni attrezzo aveva fissato la quantità di grano e con quello mia madre preparava il pane carasau. Mia mamma invece cuciva le gonne plissettate, tipiche della nostra zona e le donne le portavano la stoffa e per pagarle la manifattura le davano olio, carne secca, sale. Il latte no perché avevamo le capre e la frutta e la verdura le coltivavamo nell’orto. Ma mancava tutto il resto. Non avevamo né acqua potabile né corrente elettrica. Mia mamma è stata anche balia ma non ha mai venduto il suo latte. Si faceva dare il necessario per nutrirsi e nutrire noi e fare un buon latte e il carburo, un olio per lampade, da usare per allattare il piccolo di notte. Se l’annata del grano non era stata buona allora arrivava l’orzo e con quello ci facevamo il pane. Mia madre era diventata bravissima e lo faceva talmente buono che sembrava di grano
Mi ha spiegato nonna Sara che l’usanza del baratto era piuttosto diffusa specie dagli anni ‘30 agli anni ‘50 dove la gente per solidarietà e sopravvivenza scambiava tutto.
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