Agricoltura e clima
Si avvicina l’appuntamento della Conferenza di Copenhagen e cresce l’attesa anche per il settore agricolo che da questo appuntamento si aspetta molto e, cioè, la messa a punto di una strategia climatica caratterizzata da un quadro politico stabile, ma al tempo stesso flessibile, con l’introduzione di specifici meccanismi per offrire incentivi e remunerare gli sforzi delle imprese agricole; per garantire e stabilizzare la loro situazione di fronte alle incertezze relative all’applicazione delle misure di adattamento e mitigazione. Il costo di questo investimento potrebbe rivelarsi inferiore a quanto si crede se si considera che investire in agricoltura significa risparmiare sui costi delle emergenze alluvionali, dei dissesti idrogeologici e delle penalità imposte a livello internazionale. Il protocollo di Kyoto ha rappresentato un importante passo verso una maggiore consapevolezza del ruolo del settore agricolo in ambito ambientale e climatico, ma ora servono specifiche politiche, sia a livello comunitario che mondiale, in grado di modificare una paradossale situazione di empasse in cui, nonostante il ruolo positivo costantemente riconosciuto, in tutti i consessi politici e scientifici, al settore primario, a tutt’oggi non sono state adottate adeguate soluzioni per attribuire anche un valore economico ad attività che presentano un elevato livello di utilità sociale ed ambientale. Come riconosciuto anche dalla FAO, l’agricoltura è uno dei settori più sensibili al clima e, perciò, potenzialmente più vulnerabile. Le attività agroforestali sono fortemente subordinate alle condizioni naturali e sono le sole attività economiche la cui efficienza dipenda in modo diretto da condizioni meteorologiche incontrollabili. Per questo il cambiamento climatico deve essere considerato un fattore di pressione in grado di comprometterne la solidità economica e la competitività. Dal punto di vista delle responsabilità, importanti progressi sono stati fatti dall’agricoltura italiana ed europea negli ultimi anni anche nel contenimento delle emissioni di settore, che presentano un trend di riduzione. Tuttavia, le emissioni del settore primario non possono essere considerate con gli stessi parametri rispetto a quelle di altri settori. La produzione alimentare, infatti, è indispensabile ed irrinunciabile, soprattutto in un momento storico, quale quello attuale, in cui la crisi alimentare rappresenta un’emergenza a livello mondiale. In termini di responsabilità l’agricoltura dovrà, dunque, cogliere l’opportunità di migliorare ulteriormente le sue performances ambientali, ma non è accettabile che l’applicazione delle strategie di adattamento e di mitigazione per il settore agricolo si trasformino in ulteriori penalizzazioni in termini di vincoli e costi. A questo proposito va ricordato che un importante contributo alle strategie climatiche da parte dell’agricoltura europea è già in corso perché le imprese hanno, da tempo, effettuato un investimento su qualità, ambiente e clima. I costi necessari per la garanzia di rispetto di elevati standards ambientali incidono in modo rilevante sulla competitività, anche a livello internazionale, delle imprese europee soprattutto nel confronto con le aziende operanti in Paesi che, ancora, ritengono di poter rimandare queste scelte. Per bilanciare responsabilità e ruolo positivo dell’agricoltura occorre che alle attività agricole, oltre ad essere imputata una responsabilità come fonti di emissione (source), venga dunque riconosciuto anche il ruolo positivo offerto dallo strumento dei carbon sinks attraverso specifiche misure. Inoltre, nonostante il ruolo del settore agricolo nell’ambito delle strategie climatiche sia perfettamente compatibile con il modello dell’agricoltura multifunzionale europea, la P.A.C. non può rappresentare l’unica risorsa a disposizione per le imprese agricole europee: occorre individuare nuove risorse finanziarie da convertire in incentivi per diffondere tecnologie e sistemi moderni ed innovativi in grado di realizzare concreti risultati di mitigazione e di adattamento. Piuttosto che lo stanziamento di fondi per fronteggiare le inadempienze al protocollo di Kyoto (multe o ricorso ai meccanismi flessibili), dovrebbero essere messi a punto, in un’ottica preventiva ed operativa, strumenti economici e remunerativi per le imprese sul territorio e anche agendo in un contesto di mercato si dovrebbero individuare nuovi strumenti in grado di riconoscere il maggiore valore ambientale che le produzioni agricole a chilometro zero assicurano rispetto a modelli produttivi basati sulla filiera lunga. Questi strumenti potrebbero essere rappresentati, ad esempio, dalle certificazioni delle emissioni di CO2 che sono in grado di internalizzare, grazie ad un maggiore prezzo di mercato, i benefici esterni che le filiere corte producono sul territorio, sull’ambiente e sulla popolazione. In questo modo si raggiungerebbe il doppio obiettivo della valorizzazione delle produzioni locali di qualità e del riconoscimento degli sforzi in campo ambientale sostenuti dagli imprenditori agricoli.