SFIDA EDUCATIVA E ANALISI DEI CONSUMI
La lettura del volume “La sfida educativa” a cura del comitato per il progetto culturale della CEI (Roma – Bari, 2009) provoca alcune riflessioni a partire proprio dall’introduzione che, proiettata all’analisi dei consumi – a cui è dedicato un apposito capitolo – evidenzia una dialettica tra la moderna libertà di scelta e l’assunzione di tradizionali responsabilità verso gli altri.
Il consumo non va visto, infatti, in una dimensione esclusivamente individuale, bensì aperta alla sfera collettiva delle relazioni con gli altri: di qui l’impegno educativo che appartiene anche a questa sfera dell’agire.
Nella valutazione dell’attuale società dei consumi è facile verificare la mancanza di regole che permettano un adeguato orientamento delle scelte; alla base, si annota la colpevole lontananza da un progetto non precario da parte di soggetti che sappiano rivedere i propri stili di vita all’insegna di nuove consapevolezze.
E quella del consumatore impegnato, che rende etica la propria manifestazione del consumo, permette di rinviare immediatamente alla visione dell’Enciclica Caritas in Veritate sull’orizzonte di senso della persona presa nella propria globalità: anche nel campo degli acquisti.
Centrale resta, pertanto, il riconoscimento della funzione del consumo destinata non tanto ad assorbire la quantità delle merci prodotte quanto a valorizzare l’esistenza di ogni persona. Il rinvio è alla tesi di Bauman, in base alla quale l’economia consumistica deve fare affidamento all’eccesso, associando la felicità non tanto alla soddisfazione dei bisogni quanto alla crescita dell’intensità dei desideri. La stessa metafora della spazzatura frutto dell’accumulazione di inutili imballaggi ed oggetti – cui si accenna nel volume – fa riferimento al rapido utilizzo e all’altrettanto rapida sostituzione con altri beni attraverso cui si pensa di soddisfare emergenti aspettative.
Eppure è possibile promuovere nel consumatore più avvertito una originale capacità combinatoria tra atteggiamento responsabile e soddisfazione dei desideri a patto, però, di attrezzare adeguate formule educative che costringano a tener conto delle conseguenze delle scelte. Ogni consumatore deve sapere che, a seconda di come orienterà i propri consumi alimentari, avrà, ad esempio, un territorio più o meno gradevole e un economia più o meno sostenibile. Se vogliamo che i prati verdi tornino a colorare la campagna circostante al nostro abitato dobbiamo preferire negli scaffali, latte e formaggi ottenuti da animali alimentati con fieno e non prodotti con polveri di importazione.
Nel periodo di crisi che stiamo attraversando la crescente consapevolezza di comprare diverso apre ad un cambiamento negli scenari dell’economia. Se si guarda all’agricoltura non si ha difficoltà di prendere atto del successo di farmer market, di formule di approvvigionamento diretto in campagna per non parlare degli orti in città, con la scoperta dei valori degli alimenti.
Il punto su cui insistere è, però, quello che collega l’accresciuta responsabilità alla disponibilità di informazioni. Solo un rinnovato patto tra imprese e consumatori può essere capace di rimuovere le asimmetrie che assegnano esclusivamente al prezzo le informazioni sul valore di un prodotto. Sicché di fronte ad un prodotto alimentare sugli scaffali, che costa meno (anzi: troppo poco), il consumatore non si formula la domanda in ragione di tutti gli altri costi impliciti: ambiente, lavoro, salute ecc..
Nel mercato degli alimenti meno competenza ha chi mangia e meglio è, al fine di favorire la diffusione e il successo di prodotti omologati, delocalizzati, o più in generale, industriali.
Ad una nuova attitudine all’acquisto dei consumatori devono, pertanto far capo pratiche di responsabilità sociale delle imprese.
Il rinvio ai principi della dottrina sociale della Chiesa induce, a questo punto, altre significative considerazioni.