La vite: una miniera genetica e una opportunità per la nostra agricoltura
L’associazione tra vino e lavoro evoca alla mente, subito, le vecchie e care immagini, un po’ sbiadite, del solerte vignaiolo che riempie ceste di grappoli e li pigia nel tino. Esse, però, non corrispondono alla realtà odierna del mondo del vino e non solo perché i tini di legno hanno ceduto il posto alle autoclavi di acciaio inox, ma soprattutto perché il vecchio vignaiolo si è trasformato in enotecnico o in enologo; perché la vendemmia è diventata molto spesso un’occasione di lavoro per gli studenti universitari; perché attorno alla vita di una bottiglia sono sorte professioni nuove come il wine manager, che ha la funzione di valorizzare, nell’era della globalizzazione, un prodotto “locale” per eccellenza.
Il vino, inoltre, ha forti legami con la salute e questa associazione ha un valore importante anche per i profili di studio e ricerca.
Il vino rappresenta da millenni uno dei componenti tradizionali della dieta. Da un punto di vista strettamente nutrizionale vi è una controversia tra gli esperti sul ruolo di questa bevanda, in particolare, in quanto essa è composta prevalentemente da alcool, sostanza che non rientra nella categoria dei principi nutritivi classici. Su questo punto, secondo alcuni esperti, il vino, per i dimostrati effetti benefici sull’organismo e per il suo apporto in zuccheri, vitamine e minerali, deve fare parte, a dosi adeguate, della dieta quotidiana.
Nel vino esistono, poi, alcune sostanze – amici fino ad oggi sconosciuti – dei quali molteplici studi stanno dimostrando gli effetti benefici. L’antico proverbio “Il vino fa buon sangue”, nasconde infatti molte verità. Fin dagli anni ’80, le osservazioni epidemiologiche hanno evidenziato che le popolazioni mediterranee, in particolare i francesi, pur essendo gran consumatori di acidi grassi saturi e colesterolo al pari della popolazione statunitense, presentavano un rischio significativamente inferiore di incidenti cardiovascolari acuti quali l’infarto miocardio. E’ il cosiddetto “paradosso francese”, attribuito ad un generico maggior consumo di vino da parte dei francesi.
Tale aspetto è oggi più conosciuto e stanno emergendo i nomi di questi “nuovi amici” effettivamente contenuti nel vino. Si tratta di una famiglia di flavonoidi dotati di potere antiossidante, contenuti in gran quantità nella buccia dell’uva. Il più studiato di questi ha il difficile nome di Rasveratrolo.
Sotto il profilo della salute e della sicurezza, poi, non il vino ma, soprattutto, i superalcolici, i cocktail e gli aperitivi sono i principali responsabili degli eccessi alcolici dei giovani. Infatti, solo un decimo del valore delle consumazioni in discoteca riguarda il vino, mentre le bevande alcoliche più diffuse tra i giovani sono gli aperitivi, a conferma della pericolosità dei cosiddetti “alcolpops”, mascherati da innocui analcolici e promossi con un’immagine di divertimento e colori accattivanti che ne favoriscono il consumo.
A fronte di questi stili di consumo diffusi tra i giovani, emerge come i consumi di vino tra gli italiani si siano ridotti da 68 a 48,8 litri, con un calo del 28,2 per cento, ma con un deciso orientamento alla qualità: cresce, infatti, un consumo di vino meditato e ragionato, che è l’espressione di uno stile di vita attento all’equilibrio psico-fisico.
Perciò, occorre realizzare interventi finalizzati a ritardare l’età del primo approccio con le bevande alcoliche ed a ridurre il livello dei consumi giovanili. A tali fini si rivelano utili campagne educazionali; interventi educativi nelle scuole; adeguate campagne di educazione sul “saper bere” , capaci di diffondere una profonda, solida e motivata consapevolezza tra consumo responsabile del vino e la salute; o, ancora, accrescere la visibilità dei controlli sul tasso alcolemico, per amplificarne le finalità preventive.
Tornando ai profili della ricerca è necessario prestare attenzione ai temi di indagine ed ai limiti della sua utilità.
La maggior parte degli studi sulla trasformazione genetica della vite riguardano la modificazione delle caratteristiche agronomiche della pianta, quali:
- la resistenza alle malattie;
- la tolleranza agli erbicidi;
- la tolleranza agli stress abiotici (stress idrici, ossidativi, osmotici ecc.);
- rispetto ad altre colture, l’obiettivo è anche quello della modificazione delle caratteristiche qualitative, quali il colore delle bacche, l’accumulo ed il trasporto zuccherino, la produzione di frutti apireni, il controllo della marcescenza. Il colore delle bacche influenza decisamente la qualità del vino e la pigmentazione svolge un ruolo importante nei processi di impollinazione e dispersione dei semi. Lo scopo della modificazione genetica è quello di aumentare, quindi, il contenuto di antocianine nelle bucce per migliorare la qualità delle uve.
Per quanto concerne i rischi di natura socio-economica legati alla vite transgenica, a differenza del mais e della soia che sono commodities destinate all’alimentazione animale, si avrebbe la modifica di un prodotto di qualità, che si distingue per il forte legame con il territorio nonché quale simbolo delle diverse tradizioni e culture. Per questo le modifiche transgeniche sulla vite incontrano maggiori obiezioni che non verso altri tipi di colture.
Di conseguenza, i vini ogm, anche in termini economici potrebbero perdere di valore in quanto si avrebbe un ritorno negativo dell’immagine di qualità di tali produzioni. Inoltre, poiché la vite è una coltura pluriennale, caratterizzata da elevati costi di impianto e coltivata spesso in aree marginali, è necessario, prima del suo impianto, stimare in modo molto dettagliato i costi benefici di una simile operazione, dato che nel tempo non sarebbe possibile cambiare con facilità l’indirizzo produttivo in modo flessibile come avviene, invece, per le colture annuali. Per l’agricoltore esisterebbe poi il problema del brevetto, in quanto il proprietario della vite transgenica pretenderebbe il pagamento di una royalty non solo per ogni pianta venduta, ma anche per ogni chilogrammo di uva destinata alla trasformazione in vino.
La ricerca potrebbe, invece, orientarsi in altre direzioni: ad esempio, la stessa struttura genetica della Vitis vinifera non è ancora compresa, in relazione alla sua variabilità primaria, conseguente ai fenomeni di domesticazione, e secondaria, conseguente, invece, ai fenomeni di circolazione varietale e di ulteriore riassortimento genetico.
Vi sono fondati motivi per ritenere che nel genoma della vite europea vi siano fonti di geni capaci di incrementare la resistenza agli stress biotici (malattie e insetti) e abiotici (siccità, freddo, salinità), ma anche per poter costruire varietà con profili qualitativi nuovi.
Per esplorare questa miniera genetica è necessario non solo disporre del materiale vegetale, ma risulta parimenti essenziale applicare al miglioramento genetico della vite gli strumenti della biologia molecolare tradizionale.
Infine, il vino costituisce il segmento economico che più caratterizza il nostro modello di agricoltura territoriale, rafforzando la convinzione che solo scelte legate all’identità ed alla tipicità possano rendere competitive le imprese sul mercato. L’innovazione nelle modalità della vendita, nella promozione dei percorsi turistici e negli stili di consumo rappresenta, dunque, un fattore in grado di mostrare come non servano grandi dimensioni e obiettivi di riduzione dei costi a vincere la sfida del mercato, ma la costruzione di reti territoriali, il supporto delle istituzioni, a partire da quelle locali, l’impegno alla difesa della qualità e alla lotta alle contraffazioni e la volontà di costruire filiere che siano espressione dell’autentico Made in Italy.