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Quasi 30 milioni di chili di carne importati da Brasile e Argentina dove si pratica la clonazione

31 marzo 2011 0 commenti

A causa della mancanza di accordo a livello comunitario non esistono ora norme sulle importazioni che impongano di etichettare un alimento come derivato da progenie o discendenti di animali clonati con il rischio concreto che i discendenti della pecora Dolly possano arrivare in tavola. Diviene, cos’, urgente chiedere l’immediato avvio di un piano di controlli alle frontiere dopo che è scaduto il mandato negoziale della Commissione a seguito dell’impossibilità di trovare un compromesso per regolamentare la clonazione a fini alimentari in Europa. Senza l’accordo gli operatori commerciali sono liberi di importare latte, formaggi o carne derivati dalla progenie e discendenza degli animali clonati senza peraltro alcuna etichettatura. Un rischio sollevato anche in Inghilterra dal Daily Mail secondo il quale prodotti derivati da progenie di animali clonati potrebbero arrivare entro l’estate nei supermercati. Sotto osservazione in Europa e in Italia sono soprattutto le importazioni di carne proveniente da Brasile, Argentina e Usa dove la pratica della clonazione si è rapidamente diffusa. L’Italia, secondo una analisi elaborata su dati Istat, ha importato nel 2010 carne fresca, congelata o refrigerata per ben 18 milioni di chili dal Brasile, per 9,3 milioni di chili dall’Argentina e per 1,3 milioni di chili dagli Usa. Quasi marginali sono invece le importazioni di prodotti lattiero caseari da questi Paesi che assommano complessivamente a 350mila chili. Il rischio non riguarda tanto gli animali clonati, ma la loro discendenza poiché nessuno spenderebbe decine di migliaia di euro per ottenere un toro clonato per farne hamburger. Il consiglio per i consumatori è quindi di verificare l’etichetta di origine che è oggi obbligatoria per la carne bovina e per quella di pollo e di preferire la produzione nazionale. Occorre intensificare subito i controlli alle frontiere in attesa che la Commissione intervenga per prevedere regole chiare che vietino tali prodotti nell’Unione Europea e stabiliscano norme chiare e trasparenti di etichettatura, come richiesto dal Parlamento Europeo.