Piccole grandi opere: il ponte o il mare?
Quando un paese industrializzato è in una fase di difficoltà economica, è giusto che il governo intervenga direttamente promuovendo iniziative di interesse collettivo, in modo particolare intervenendo nei settori in cui il paese è carente e che, superata la crisi, possano dare impulso a un nuovo ciclo economico. Si tratta di interventi eccezionali dello Stato, accettati anche dalla ortodossia neo-liberista, che anche il nostro governo si accinge a varare con il cosiddetto “Piano delle Grandi Opere”. Ma attenzione che già in questa definizione si nasconde una ambiguità che può generare, invece del supposto effetto dinamico in una economia in difficoltà, una intrusione polarizzante e paralizzante nell’economia nazionale, esaltando difetti, sclerotizzando situazioni sbagliate e ostacolando l’innovazione. Il paese ha certamente bisogno di “grandi opere”, ma l’aggettivo “grande” non deve essere riferito alle dimensioni dell’opera ma all’effetto che è in grado di produrre nel tempo nel tessuto economico.
La grande opera per eccellenza di cui si parla ormai da decenni, evocata da tanti governi di diverso colore, è il ponte sullo Stretto di Messina; nel 1981, viene addirittura formata la società Stretto di Messina SpA con capitale interamente pubblico a maggioranza IRI/Italstat, per la progettazione e la realizzazione del ponte, che l’attuale governo si accinge ad avviare come fiore all’occhiello della legislatura. Non vogliamo cadere nella solita trappola tipica del nostro paese, del dividersi in fazioni, l’una che considera il ponte la peggiore catastrofe e l’altra un’opera necessaria. Vogliamo capire se il ponte fa parte di quelle opere che possono definirsi strategiche, cioè di grande effetto sull’economia presente e futura del nostro paese, unico motivo che giustificherebbe un intervento pubblico massiccio come quello richiesto.
La prima domanda che dobbiamo porci è se quest’opera, come dicono i promotori, è necessaria per la modernizzazione del sistema di trasporti nazionale e di conseguenze per il rilancio dell’economia di un’area strategicamente importante come la Sicilia. Alla scala nazionale dobbiamo partire dal fatto che il nostro sistema di trasporti, sia merci che passeggeri, è sbilanciato come in nessun altro paese europeo sulla strada e fra i paesi affacciati sul mare siamo quello che fa il minor uso del trasporto navale; questo è causa di alti costi di trasporto e di pesanti conseguenze economiche relative all’importazione di prodotti petroliferi, senza parlare delle conseguenze ambientali e della sicurezza stradale.
Il trasporto merci in Italia[1] si svolge (dato 2007) per il 65% su strada, il 19% via mare, l’11% su ferrovie e lo 0.5% per via aerea, e il 4,5% in oleodotti. Le persone si muovono per il 92,2% su strada, per il 5,8% su ferro, per l’1,6% in aereo, 0,4% su nave. Si vede come su entrambi i fronti è largamente prevalente il trasporto su strada, nonostante il fatto che spostare una merce o una persona su ferrovia richieda la metà dell’energia, e via mare circa 1/5.
Il nostro ponte allora non può qualificarsi come opera strategicamente importante, anzi, polarizzando intensi investimenti, accentuerebbe lo sbilanciamento del nostro sistema di trasporto impedendone il miglioramento dell’efficienza e la modernizzazione. Il beneficio sarebbe limitato ad un risparmio piuttosto modesto sui tempi di attraversamento dello stretto, che potrebbero essere significativi solo per brevi percorrenze di carattere locale.
Negli stessi anni in cui operava la società “Ponte sullo Stretto”, l’IRI acquisiva la società “Idrovie” (oggi chiusa), che aveva lo scopo di progettare e realizzare una rete di idrovie nella pianura padana, collegata alle idrovie dell’Europa Centrale ed ai corridoi marini tirrenico ed adriatico, per costruire una grande alternativa nazionale, moderna ed efficiente, al trasporto merci su strada. Questa, in alternativa al ponte, affiancata alla modernizzazione dei porti marittimi, sarebbe la grande utopia in grado di costituire un volano economico a beneficio di tutti i settori produttivi e dell’ambiente e con grandi ricadute occupazionali su scala nazionale.
Alla prossima utopia
[1] dati tratti da: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti – Anni 2006-2007, Roma – Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato