Rosarno: il diritto alla ribellione e il dovere della ribellione
Il Papa Paolo VI, nella famosa enciclica “Populorum Progressio” promulgata il 26 marzo del lontano 1967, al punto 30 diceva:
Si danno, certo, situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana.
Al punto 31 proseguiva dicendo:
E tuttavia sappiamo che l’insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.
Il Papa non giustificava certo ma comprendeva la tentazione alla violenza di fronte a situazioni di dipendenza tali da impedire ogni iniziativa di responsabilità e di partecipazione alla vita sociale e politica, ogni possibilità di far valere per vie legali i propri diritti. Come non vedere nelle sue parole descritta la situazione vissuta dagli immigrati di Rosarno, nei loro paesi di origine prima ed in Italia poi? Il Papa Paolo VI, con le sue parole, pur condannando l’insurrezione come un male più grande di quello che si vuol combattere, arrivava tuttavia a giustificarla “nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona”.
Queste sono parole straordinarie per comprendere da un punto di vista etico i fatti di Rosarno. Vediamo di analizzare insieme sotto questa luce i protagonisti di questi fatti, come sempre entrati nelle nostre case attraverso la televisione come una indistinta marmellata dove ognuno poteva distribuire a sua piacimento torti e ragioni.
Gli immigrati da decenni ormai sfuggono a tirannia e fame nei loro paesi e vengono a popolare le campagne italiane dove hanno saputo di poter trovare un lavoro. Per capire i fatti di oggi è necessario ricordare una storia di venti anni fa.
Era il 25 agosto del 1989, una notte d’estate afosa e piena di zanzare, a Villa Literno, nel casertano, terra rossa del sangue sparso dalla camorra che controlla ogni attività economica di una certa importanza, un rosso invisibile che subito scompare, e rossa per la distesa di pomodori maturi che coprono i campi; una terra che di notte è ancora calda per il sole che picchia di giorno, un sole che sembra continuare a brillare anche di notte nelle casse rosse e calde accatastate, piene di pomodori, illuminate dalla luna. L’aria anche di notte è satura dell’odore acre delle foglie carnose e vellutate delle piante bruciate dal sole. In un rudere con le finestre sfondate e senza elettricità, insieme ai suoi compagni di lavoro, riposa Jerry Essen Masslo. Forse sta sognando la sua terra lontana, il Transkei, bantustan famoso per aver dato i natali a Nelson Mandela, prigioniero in un carcere del Sud Africa razzista. Forse sta sognando di ritrovare suo padre, scomparso dopo essere stato arrestato, forse sta sognando col cuore spezzato sua figlia uccisa da un proiettile a sette anni durante una manifestazione anti-razzista; forse sta sognando sua moglie e i suoi due bambini rimasti lì.
All’improvviso una esplosione di urla lo sveglia senza dargli il tempo di distinguere fra sogno e realtà, fra Sud Africa ed Italia, e gli appaiono davanti dei ragazzi armati, che urlano di tirare fuori i soldi, quei soldi che lui e i suoi compagni custodivano gelosamente, accumulati giorno dopo giorno, 800 misere lire per ogni cassetta riempita, il prezzo del riscatto dall’esilio e dalla schiavitù, la speranza di tornare dalla sua famiglia, un giorno, in un Sud Africa liberato dall’apartheid. Ma Jerry era un combattente, non poteva rassegnarsi a vedere sé e i suoi compagni, ancora una volta derubati dai bianchi del loro futuro. Si ribella, grida…un colpo improvviso…e il sangue, il rosso, il sole, i pomodori…tutto si confonde nel buio di quella notte e finisce per sempre.
Vent’anni sono passati ma nulla sembra essere cambiato; ancora spari da parte di ragazzi bianchi, questa volta a Rosarno. Chissà, forse come allora un rito di iniziazione della malavita. Vent’anni fanno pensare a “una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona”. Questa volta non muore nessuno ma scoppia la rivolta.
Ancora baracche, ancora sfruttamento, 25€ al giorno, che fanno le 800 lire a cassetta di allora.
Nel maggio 2009 tre imprenditori agricoli di Rosarno, comune commissariato per le connivenze dei suoi amministratori con la malavita, sono stati arrestati perché accusati di far parte di una associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, induzione della prostituzione ed estorsione.
Sono passati 20 anni di razzismo, violenza e schiavitù dal sacrificio di Jerry Masslo.
E la televisione ci mostra la reazione dei bravi cittadini di Rosarno, che hanno eletto amministratori malavitosi, che non si ribellano ma convivono in silenzio con la ‘ndrangheta, e oggi si ribellano contro chi si ribella a questo stato indecente di cose, gridando “non siamo razzisti ma quelle sono bestie” (chissà che significa per loro razzismo). Cittadini che da anni avrebbero il dovere di ribellarsi ai delinquenti con i quali o collaborano o omaggiano in piazza e si lasciano comandare.
E il ministro Maroni, ministro di una coalizione che ha governato per il maggior tempo di questi ultimi vent’anni, attribuisce ipocritamente al buonismo ed alla troppa tolleranza questi fatti. La giustizia e il diritto, caro ministro, non sono buonismo, seminare l’odio verso lo straniero come continuamente fa con le parole e con i fatti, a tutti i livelli, il suo partito, è istigazione alla violenza razziale. Nel reato di clandestinità che tratta tanti poveracci come dei criminali esponendoli a pene a volte superiori a quelle degli stessi camorristi che li schiavizzano, nel folcloristico “white Christmas” proposto da un amministratore locale del suo partito, nei maiali anti-moschee di Borghezio, nelle cannonate alle navi dei clandestini evocate da Bossi (certo giustificate come al solito dal carattere esuberante del personaggio), nella distinzione fra “i nostri” e “i loro” entrata ormai nel vostro turpe lessico, gli attacchi portati perfino all’Arcivescovo di Milano per i suoi richiami alla solidarietà, e nel ricchissimo florilegio di simili fatti e parole, c’è una copiosa semina di violenza e di intolleranza di cui oggi vediamo i frutti, altro che buonismo!
L’utopia che vi propongo questa volta è di vedere un giorno punito con la stessa severità chi semina, chi provoca e chi pratica la violenza; di vedere i cittadini per bene di Rosarno ribellarsi insieme agli immigrati, con ferma determinazione non-violenta, contro i criminali che governano quel territorio nell’indifferenza (o almeno nella scarsa ed inefficace attenzione) generale delle autorità locali e nazionali.
Alla prossima utopia.