Il tempo degli sciacalli
C’era una volta un tempo in cui il denaro corrispondeva al valore di qualcosa di reale. Il mondo era pieno di alberi, di fiori, di animali, una grande varietà di pesci popolavano in gran numero i mari e le acque dolci, la pioggia cadeva regolare e le stagioni si alternavano anno dopo anno. La Terra produceva cibo per tutti e alcuni raggiungevano addirittura i cento anni di vita. Se circolava molto denaro all’interno di un paese era perché l’economia di quel paese produceva beni che avevano un valore, cibo, case, vestiti, cose utili che procuravano benessere. Poi venne il consumismo, un tempo in cui tutti erano impegnati a consumare cose reali, gettarle via ed accumulare denaro… e così il mondo si trovò pieno di rifiuti che inquinavano l’acqua, la terra e l’aria, sconvolgevano il clima e distruggevano la vita, per avere in cambio pezzi di carta filigranata o frazioni di valore di imprese che non sapevano neanche dove fossero o se esistevano davvero.
Questa è la storia che qualche nostro nipote racconterà ai suoi figli, di cui non conosciamo il seguito, perché il seguito lo stiamo scrivendo noi adesso. Questa è la storia della crisi economica che sta imperversando in tutto il mondo. La crisi di una economia di carta, che smuove valori a cui non corrisponde nessuna cosa reale, che si indebita scommettendo su cose che avverranno in futuro o su fatti che nessuno più può garantire che accadranno. Questa è una crisi che i politici vogliono farci credere che sia nata da incauti comportamenti di qualche governo e da cui si uscirà facilmente con un po’ di sacrifici per rimettere i conti in ordine. Ma questa purtroppo è solo l’apparenza.
La crisi finanziaria è solo ciò che emerge di una economia che ha basi fisiche, reali, concrete, sempre più labili. E’ una crisi che nasce dalla folle idea che si possano estrarre risorse in quantità infinite da una Terra finita, di cui conosciamo tutte le misure, di cui sappiamo che ha un diametro equatoriale di 12.756 km, che ha una superficie di 51 miliardi di ettari, un volume pari a mille miliardi di chilometri cubi, un pianeta molto grande ma non infinito. Ed oggi sappiamo che già stiamo utilizzando ogni anno il 35% in più delle risorse che il pianeta riesce con la sua attività biologica a rigenerare, quindi non stiamo vivendo sulla rendita del capitale naturale, ma stiamo già pesantemente intaccando il capitale stesso, e quindi stiamo consegnando ai nostri figli un pianeta più povero. Nessun titolo, nessuna obbligazione, nessuna azione societaria, nessuna somma di denaro di carta potrà compensare questa perdita reale. E tutto ciò avviene in un pianeta dove già un miliardo di persone soffre la fame, dove la popolazione mondiale ha raggiunto i 6 miliardi e 800 milioni di abitanti (era di 2 miliardi e mezzo nel 1950). E tutto ciò avviene in una economia che vuole che la popolazione continui a crescere e continuino ad aumentare i consumi pro capite; e vuole questo non per filantropia, ma perché la sua dottrina pretende che i consumi debbano sempre crescere.
E nel segno di questa grande, folle e drammatica illusione, nel nostro paese, piccolo spicchio di questo pianeta in crisi, si danno incentivi all’acquisto di nuove automobili, quando già ne abbiamo il primato mondiale per abitante, proprio mentre gli scienziati dell’ASPO (associazione internazionale che studia l’andamento della disponibilità di petrolio) segnala che fra soli 18 mesi la domanda mondiale di petrolio supererà definitivamente la disponibilità, ed il prezzo del barile inizierà una rapida ed irreversibile ascesa, trascinando con sé il prezzo del metano, del carbone e dell’uranio. Nessuno dice alla gente che chi compra una automobile oggi domani non avrà i soldi per comprare la benzina? E questo è il meno. Dal momento che le produzioni agricole moderne dipendono fortemente dal petrolio il conseguente aumento del prezzo dei cereali porterà altre centinaia di milioni di persone a soffrire la fame.
E nel nostro bel paese, l’Enel, sostenuta dal Governo, se ne va a proporre centrali nucleari, destinate, una volta esaurito entro una trentina d’anni l’uranio più facilmente estraibile, a produrre l’energia più costosa dopo il petrolio, in un paese che ha già una potenza installata (103.281 MW nel 2009) superiore dell’82% al picco massimo di richiesta mai raggiunto (56.822 MW raggiunto il 18/12/2007); e propone centrali a carbone in Calabria, regione tra quelle con il più elevato soleggiamento d’Europa; parliamo di una regione che produce solo il 6,4% dell’elettricità da fonti rinnovabili (un terzo della media nazionale) mentre nel suo territorio l’energia di origine solare-fotovoltaica è più vicina alla competitività con le fonti fossili di quanto non lo sia nella stragrande maggioranza dei paesi europei.
Con tutto il rispetto per lo sciacallo, splendido ed utilissimo canide selvatico, ingiustamente eretto a simbolo di sfruttatore delle disgrazie altrui in quanto si nutre di carcasse di animali morti, molti politici, economisti e imprenditori che oggi salgono sul pulpito per “istruirci” su ciò che dobbiamo fare, sembrano guidati solo dal desiderio di lucrare, come sciacalli, profitti anche in tempo di crisi, senza cercare strade e tecnologie nuove su cui investire per costruire un futuro migliore. Se a questo aggiungiamo i tagli a ricerca e istruzione sembra proprio che il nostro paese si stia candidando a galleggiare fra la marginalità economica ed una crisi strisciante permanente.