Il Clima a bordo del Titanic
Cancùn, un’altra tappa di un percorso surreale che tenta di continuare a rallentare il tempo che invece scorre via veloce. Non mi occupo di politica ma di scienza ed i cambiamenti climatici richiedono concrete riduzioni delle concentrazioni in atmosfera di gas serra; da Cancùn giunge solo un impegno a continuare a discutere su come arrivare a questo. Questo può forse accontentare qualche ambientalista ma non chi è avvezzo a considerare la concretezza dei fenomeni fisici. Trovo incomprensibile il rituale riconoscimento, che alcuni ambientalisti reputano importante, di obiettivi sui quali la scienza concorda ormai da qualche decennio, come il fatto che un incremento superiore a 2°C delle temperature medie globali sarebbe un vero disastro umano ed economico per le conseguenze che comporterebbe sui meccanismi climatici; anzi mi indigna che si consideri questo un risultato positivo: la scienza non ha bisogno di riconoscimenti da parte della politica, piuttosto è vero il contrario.
Ormai queste Conferenze (COP) appaiono sempre più come l’incontro di una affollata e variopinta brigata ai piani alti del Titanic, che decide, come sempre, di continuare le danze l’anno dopo mentre ai piani bassi c’è già chi ha l’acqua alla gola, come i paesi africani che vedono avanzare il deserto, o l’India e il centro America che subiscono eventi ciclonici sempre più frequenti e violenti, o le piccole isole che si vedono letteralmente scomparire la terra da sotto i piedi.
Come possiamo considerare l’istituzione di un Fondo Verde per aiutare i paesi in via di sviluppo a fronteggiare i danni e a importare tecnologie pulite, un fatto positivo se non si dice chi e come alimenterà questo fondo? L’esperienza (e penso ai cosiddetti obiettivi del millennio che non si sa più a quale millennio si riferiscano) insegna che i fondi di sostegno internazionali, in primis quelli per i paesi in via di sviluppo, vengono continuamente disattesi.
Cosa fare allora per riportare una discussione che riguarda il futuro del pianeta e dell’umanità che lo abita su un binario di concretezza. Il primo passo è riconoscere con estremo realismo che i cambiamenti climatici sono un sintomo del male e non il male e che a poco servono le pezze fredde per mitigare la febbre se non si cura la malattia. Il secondo passo è riconoscere che la malattia è un sistema economico che non sa accettare la fine naturale della realtà in cui si è sviluppato, l’abbondanza di risorse energetiche non rinnovabili, e che questa costituisce un brevissima parentesi (250 anni) nella storia della civiltà; una parentesi che sta per chiudersi e la cui chiusura non avrebbe nulla di drammatico se noi, con accanimento terapeutico, non ci ostinassimo a prolungarne l’agonia.
E’ un sistema economico che nato per produrre benessere, avendo storicamente identificato il benessere con la produzione e l’accumulo di capitali finanziari (PIL), ha ormai confuso il fine con il mezzo, alimentando irragionevolmente sprechi e consumi che minacciano il benessere presente e futuro dell’umanità. Viviamo in un modello economico incapace di considerare il concetto di autolimitazione e che quindi difficilmente accetterà dei tetti alle emissioni. Sarà piuttosto più facile che possa accettare, come in parte già avviene in alcuni settori industriali, l’internalizzazione dei costi ambientali e sociali delle attività umane. Nel caso dei cambiamenti climatici si tratterebbe dell’introduzione di una carbon tax definita su basi tecnico-scientifiche reali in modo da poter riequilibrare su un piano realistico la competizione fra modelli economici e tecnologie. Solo allora, senza bisogno di incentivi alle tecnologie pulite sempre di gran lunga inferiori a quelli occulti concessi alle tecnologie inquinanti; vedremo le fonti rinnovabili sconfiggere sul piano della competitività economica ed ambientale petrolio, carbone, metano e nucleare, la sobrietà e l’efficienza sconfiggere il consumismo ottuso ed inutile nella produzione di benessere.
Questa è la mia grande utopia: lasciamo il Titanic su cui si svolgono le conferenze sul clima al suo destino; se produrrà risultati bene. Ma intanto spostiamo la questione climatica urgentemente sul tavolo di una necessaria riforma dell’economia mondiale verso la sostenibilità.