G20 e Rio+20: due mondi che non si parlano
Mentre il G20 si chiude a Los Cabos in Messico, si apre a Rio de Janeiro la fase politica del summit internazionale detto Rio+20, per ricordare che 20 anni sono passati dall’ultimo incontro del 1992 e ben 40 dal primo del 1972 a Stoccolma. Questi due precedenti incontri ci incoraggiarono a credere che i governanti del mondo potessero finalmente dare seriamente ascolto agli allarmi degli scienziati rispetto al futuro del nostro pianeta. I risultati in questi 40 anni sono stati estremamente modesti. Intanto la scienza è andata avanti e purtroppo gli allarmi sono stati ulteriormente aggravati dalle nuove conoscenze. Invece oggi lo scenario che ci si presenta è quello di paesi ricchi ripiegati su sé stessi, nell’ossessione contabile che incatena i governi al presente. Gli obiettivi di equità, lotta alla fame ed alla povertà, che i 191 paesi dell’ONU si erano impegnati ad attuare entro il 2015, quasi certamente non verranno raggiunti.
I capi di governo riuniti in Messico hanno parlato e discusso di speculazioni finanziarie, debito pubblico, capitali da indirizzare verso la crescita dell’economia, ancora la crescita senza aggettivi ricercata come soluzione per una economia malata. A Rio, della stessa crescita dell’economia si parla come l’origine del male che sta portando il pianeta sull’orlo del disastro. Il mondo di carta del G20, fatto di SPREAD di BONDs, di Agenzie di Rating, si confronta a distanza con il mondo reale di Rio, fatto di fiumi, foreste, oceani, uomini e donne in carne ed ossa. Ma i due mondi si ignorano e si contraddicono a vicenda.
Se il presente è duro per il disordino finanziario, il futuro sarà ancora più duro per il disordine ecologico. Mandiamo forte allora il nostro messaggio a Rio de Janeiro, perché i governanti del mondo si affrettino a cambiare strada; perché la politica torni a mettere al centro della sua azione l’uomo e non i mercati finanziari; torni ad esercitare il ruolo, a cui la abbiamo democraticamente delegata, di controllo della finanza ed indirizzo dell’economia verso la valorizzazione della persona umana, liberandosi dal dominio soffocante del mito della crescita del PIL, dall’ossessione della crescita dei consumi che divora natura e persone; che si rimetta al centro l’uomo ed una natura integra come unica base possibile per il benessere dell’umanità del presente e del futuro. La paura di perdere qualcosa nel cambiare strada rischia di farci perdere tutto ciò che di buono, seppur fra tante contraddizioni, l’umanità ha fino ad oggi costruito. La crescita del consumo di natura ha da tempo superato il suo limite, ed ormai, consumando ogni anno oltre il 20% in più delle risorse che la Terra riesce a riprodurre, ci stiamo pericolosamente sporgendo sul precipizio, stiamo preparando un futuro assai difficile alle generazioni future.
L’uomo deve essere cosciente di far parte della natura, che la sua esistenza dipende da essa, e deve quindi imparare a vivere con essa e non contro di essa; l’unica regola che conta per la vita è quella che guida da sempre il funzionamento della nostra biosfera; ogni altra regola, è invenzione dell’uomo, e se contrasta con la prima, può e deve essere cambiata per il bene di tutti. Una economia nemica dell’ecologia, o che semplicemente la ignora, è un non senso, è una minaccia per l’intera umanità.