La Terra presenta il suo estratto conto
Apprendiamo dal Global Footprint Network che oggi, 22 agosto, l’umanità ha già consumato tutte le risorse che il pianeta è in grado di produrre in questo anno e quindi da oggi fino al 31 dicembre vivremo intaccando il “capitale naturale”. Questo significa che nel 2013 la Terra sarà in grado di produrre meno risorse e servizi. Inoltre abbiamo già immesso nell’atmosfera una quantità di CO2 maggiore di quella che gli oceani e la vegetazione riescono ad assorbire; quindi da oggi alla fine dell’anno l’accumulo in atmosfera di questo gas peggiorerà ulteriormente i cambiamenti climatici che allarmano sempre più gli scienziati e sono sempre più ignorati da politici, talmente ossessionati dalla grave crisi finanziaria, che concentrati sul giorno dopo giorno dimenticano il vero disastro che stanno preparando per il futuro. Questo dice il calcolo aggiornato dell’ impronta ecologica mondiale.
Questo è stato infatti l’anno del fallimento delle conferenze mondiali sul clima e della conferenza di Rio de Janeiro sulla sostenibilità dello sviluppo umano, conferenze in cui i rappresentanti dei governi di tutto il mondo non hanno saputo prendere nessun impegno concreto. Assillati come sono dalla contabilità finanziaria e dagli umori arbitrari dei mercati di carta, non si accorgono che stanno conducendo al fallimento l’economia reale, che è quella che si fonda sulla disponibilità delle risorse naturali necessarie per produrre benessere.
I cambiamenti climatici ormai non sono più solo una previsione scientifica, ma una realtà che si manifesta in termini di ondate di calore, poi cicloni ed alluvioni, poi ancora siccità, e ancora nevicate eccezionali, estremizzando ogni fenomeno meteorologico. Questo è anche un anno di grave scarsità delle riserve mondiali di cereali, causata dagli eventi meteorologici avversi. Scarsità delle riserve significa aumento dei prezzi sul mercato mondiale e quindi centinaia di milioni di persone che si aggiungeranno a quel miliardo che già nel 2011 ha sofferto la fame.
Un “governo dei professori” dovrebbe essere più di quelli del passato attento agli allarmi lanciati dalla comunità scientifica, ed invece che fa? Fedeli ad una dottrina economica costruita in epoche in cui la popolazione mondiale raggiungeva a mala pena il miliardo e tutte le risorse potevano considerarsi pressoché infinite, invoca un rilancio dei consumi negli attuali scenari radicalmente cambiati, con un pianeta fisicamente e biologicamente sull’orlo di una gravissima crisi, popolato da 7 miliardi di abitanti, di cui 1/3 nonostante la crisi vive ancora nell’abbondanza e nello spreco, 1/3 rivendica il diritto di accedere a beni generalmente superflui, ed il restante terzo rivendica il diritto a condizioni di vita dignitose se non addirittura alla sopravvivenza. Certamente un aumento dei consumi alleggerirebbe quei bilanci nazionali in grave deficit, ma se non tenesse conto del progressivo depauperamento del capitale naturale, innescherebbe negli anni successivi una crisi economica strutturale legata alle risorse reali, e quindi assai più difficile da affrontare di quella legata a fattori speculativi o all’influenza dei giudizi delle agenzie di rating.
A leggere le indiscrezioni sulle strategie di rilancio del ministro Passera, la incapacità di pensare al futuro appare in tutta evidenza, come pure l’unico interesse di ottenere il massimo nel breve termine. Come altro si può leggere la grande enfasi sulle infrastrutture per il gas e sullo sfruttamento dei modesti giacimenti petroliferi nazionali, contestualmente ad una brusca frenata sullo sviluppo delle fonti rinnovabili? Questo significa impoverimento di risorse non rinnovabili, maggiori emissioni di CO2 e quindi aggravamento dei cambiamenti climatici; esattamente il contrario di quello che il dato sull’ impronta ecologica oggi ci dice con estrema concretezza sulla situazione vera dell’economia reale e non di quella virtuale dei mercati finanziari: Ricordi caro ministro, che se i mercati finanziari sono importanti nella contingenza di oggi, il nostro domani dipende dall’economia reale e quindi dallo stato di quel “capitale naturale” misurato non dal PIL ma dall’ impronta ecologica.