Una crisi tutt’altro che finita: l’immobiliare commerciale e la cantieristica navale
L’attuale crisi è nata e si è sviluppata a partire dal settore immobiliare statunitense, attraverso in particolare le difficoltà del mercato dei mutui subprime rivolti al settore privato. Da allora le difficoltà hanno fatto molta strada e - dopo aver riguardato all’inizio soltanto una piccola fetta del mercato finanziario - sono arrivate a toccare in relativamente pochi mesi praticamente l’intero mondo conosciuto; si è rischiato, tra l’altro, un vero e proprio collasso planetario. Poi, fortunatamente, le acque si sono fatte un po’ meno agitate, anche se siamo ancora lontani da un ritorno alla pretesa normalità dei mercati, che nessuno sa se e quando sarà raggiunta.
Ma le notizie che vanno emergendo in queste settimane mostrano che la crisi, che ha intrapreso dei cammini molto tortuosi, sta tornando a colpire di nuovo il settore immobiliare, anche se questa volta non si tratta tanto del segmento privato, del resto ancora oggi in rilevante anche se meno pesante difficoltà, ma di quello di tipo commerciale. Il sistema finanziario statunitense - come ci riferisce C. Long sul Financial Times e M. D. Hovanesian e D. Foust sulla copertina di Business Week - si trova di fronte ad un ennesimo problema, soprattutto di prospettiva.
Ci informano, in effetti, le cronache recenti che nei prossimi cinque anni il sistema finanziario di quel paese si troverà di fronte all’immane compito di cosa fare con i circa 4200 miliardi di dollari di debiti in scadenza che sono largamente di tipo speculativo e collegati ad alti rischi di insolvenza. Di questa somma totale, almeno 2700 miliardi fanno proprio riferimento al mercato immobiliare commerciale, oggi, come è noto, in fortissima crisi, mentre il resto dell’importo è collegabile a dei prestiti al mondo del business, comunque, come si dice con linguaggio tecnico, di non-investment grade.
Al minimo tale montagna di dollari metterà a dura prova la capacità del mercato nel digerirli; al peggio invece, dicono i commentatori citati, essa avrà l’effetto di prolungare la situazione in atto di stretta creditizia e di rallentare inoltre la possibile ripresa dell’economia del paese.
Gli anni più critici per la questione sopra indicata sembrano dover essere il 2011 e il 2012, quando verrà a scadenza una parte molto rilevante degli importi totali dei prestiti.
Il problema deriva dal fatto che, sulla spinta della bolla speculativa degli anni che hanno preceduto la crisi del 2007, il livello dei prestiti al settore immobiliare e a quello delle altre attività a rischio nel mondo del business non solo è cresciuto di diverse volte, ma i tempi medi di durata dei crediti è stato anche molto allungato; si è così accumulata questa bomba a tempo che ora sta per scoppiare. La cartolarizzazione dei prestiti ha giocato poi un ruolo cruciale nella crescita di questo mercato drogato, ma tale canale tecnico è ora quasi interamente bloccato. La questione è collegata - tra l’altro - al fatto che più la capacità di prestiti complessiva del sistema finanziario del paese all’economia resta legata a questo problema, meno soldi ci saranno per fornire ossigeno al resto del sistema produttivo.
Ma come è messo oggi in concreto il mercato immobiliare commerciale statunitense? Esso pesa complessivamente per 6,4 trilioni di dollari; secondo Moody’s, i prezzi di vendita nel settore sono scesi in media del 41% rispetto alla punta massima del 2007, peggio di quanto sia successo nel settore abitativo, nel quale il calo è stato del 30,5% rispetto alla punta massima dei prezzi raggiunta nel 2006. Peggio, il mercato si trova oggi ad essere anche estremamente illiquido. In ogni caso, mentre il business civile mostra oggi qualche segnale di ripresa, quello commerciale mostra invece segni di crescente, ulteriore, debolezza. Qualcuno stima che il mercato riuscirà a riprendersi pienamente soltanto nel 2020.
Sono ormai trenta le grandi città statunitensi che registrano in questo momento più di un miliardo di dollari di prestiti in sofferenza ciascuna nel settore indicato, rispetto a soltanto otto un anno fa. Nell’analisi di quello che è successo negli scorsi anni emergono ora, quasi ovviamente, casi di pessime pratiche commerciali, di spese fuori controllo ed anche di corruzione e di chiamate in giudizio.
Accanto alle difficoltà, negli Stati Uniti, del settore immobiliare commerciale, vogliamo segnalare un altro punto di crisi, meno preoccupante per le sue dimensioni, però anch’esso abbastanza significativo e che tocca questa volta soprattutto le banche europee. Si tratta del settore navale, per quanto riguarda in particolare il comparto del trasporto merci. Le banche che hanno in portafoglio rilevanti prestiti al settore - la stampa cita in particolare i casi della RBS e della Lloyds inglesi e della HSH Nordbank e della Commerzbank tedesche - si trovano ora di fronte alla minaccia di perdite rilevanti. E si tratta di banche già prima in evidenti difficoltà. In effetti, stanno arrivando al pettine i nodi relativi al crollo, con la crisi, dei commerci mondiali, che utilizzano in larga misura il trasporto marittimo; la perdita dei traffici legati agli scambi internazionali si stima aggirarsi grosso modo intorno al 25%, ciò che ha portato ad un collasso delle tariffe di noleggio delle navi e a conseguenti perdite spaventose per le società che operano nel settore.
Ora il commercio mondiale si sta faticosamente e in parte riprendendo, ma il settore rimane depresso anche perché negli anni del boom erano state ordinate nuove navi in sovrabbondanza - qualcuno ha parlato a questo proposito del più grande livello di ordini di tutti i tempi e le banche avevano finanziato generosamente tale follia - e quindi i noli restano nella sostanza depressi e dovrebbero restarlo ancora per molto. La banca più esposta di tutte sembra essere la tedesca HSH Nordbank, che ha al momento 50 miliardi di dollari di crediti verso il settore, ciò che è pari a sette volte il suo capitale. Seguono le altre tre banche sopra citate, sempre con prestiti dell’ordine di alcune decine di miliardi di dollari. L’esposizione totale delle banche europee si aggira intorno ai 350 miliardi.