Casa: come si può chiamare piano una deregulation?
Poco, ancora troppo poco, si sa del testo sul cosiddetto piano casa a cui il Governo sta lavorando. Ma sembra che le nuove disposizioni che si stanno scrivendo porteranno a uno stravolgimento delle norme urbanistiche. Non ci sarebbe più la vecchia licenza edilizia, ma un semplice permesso a costruire; il lungo processo autorizzativo in capo ai Comuni sarebbe superato da perizie giurate dei tecnici che autocertificherebbero le conformità urbanistiche. Sembra (Dio mio!) venga introdotto il meccanismo del silenzio assenso. Vedremo ovviamente se queste indiscrezioni risulteranno veritiere, vedremo a quali fattispecie potranno applicarsi, ma certo tutte le ipotesi di cui si sta parlando in questi giorni fanno apparire la proposta del Governo come una vera deregulation del settore. Questo contrasta nettamente con il concetto di “piano” di settore, cioè di “piano casa”. Piano indica un’organizzazione funzionale al raggiungimento di obiettivi definiti, qui ci si trova si di fronte alla chiarezza di un obiettivo (l’implementazione del settore edile), ma la modalità con cui sembrerebbe s’intenda raggiungerlo comporta la rimozione di molti elementi di garanzia che governavano il settore. Una deregulation appunto.
Il concetto di deregulation trova poi conferma nell’ipotesi di aumento di cubatura che verrebbe concesso agli edifici esistenti, ed anche nella facoltà (vedremo poi se anche quest’ipotesi verrà confermata) di abbattimento con possibilità di costruzione su un altro terreno.
Come tutti sanno la possibilità di costruire passa attraverso la scelta, in capo ai Comuni ed alle regioni, di rendere un determinato terreno edificabile. Questo solitamente significa due cose, stabilire un indice di cubatura, definire cioè il rapporto dei volumi ammissibili con la superficie del terreno, definire i cosiddetti standard di servizi che in relazione alle nuove costruzioni devono essere garantiti (ad esempio verde pubblico, posteggi, servizi ecc). Più o meno bene tutti i piani regolatori dei Comuni, approvati poi dalle Regioni, stabiliscono questi elementi essenziali che danno gli elementi minimi di riferimento ovvero gli elementi essenziali di garanzia. Gli indici sono diversi a seconda delle zone, è infatti ovvio che in alcune zone si possa costruire in modo più intensivo di altre e, più l’edificato è importante più stretti sono (o dovrebbero essere) gli standard dei servizi pubblici che vanno garantiti. Consentire l’aumento di cubatura al di fuori di questi indici valutati nell’elaborazione dei piani regolatori, discussi ed approvati, significa semplicemente farli saltare.
Facciamo un esempio per capire. Se il mio terreno di un ettaro (cioè di 10.000 metri quadri) aveva un indice di 0,5 a metro quadro (ero cioè autorizzato a costruire mezzo metro cubo in relazione ad ogni metro quadro di superficie), ho potuto costruire un immobile di 5.000 metri cubi, cioè all’incirca una palazzina di 30 metri di lato, per 20 metri di profondità per 10 di altezza. Ho dunque una palazzina di 3 piani sul terreno di un ettaro che, una volta realizzata l’opera, diviene automaticamente inedificabile per tutte le parti rimaste libere: l’indice di cubatura di tutti i metri quadri è stato infatti utilizzato per costruire la palazzina. Ora arrivano le nuove disposizioni e, sempre a titolo di esempio, consentono di aumentare il volume del 20% ; questo permette di aumentare la cubatura della palazzina di altri 1000 metri cubi ed automaticamente da la possibilità di aumentare l’indice del terreno da 0,5 a metro quadro a 0,6. Impossibile, a parere di chi scrive, che il Governo possa fare questo da solo, ovviamente occorrerà passare dalle Regioni che poi si rimetteranno ai Comuni, ma chiarissimamente s’introduce un potenziale automatismo che prescindendo da ogni valutazione fatta in sede di piano regolatore potrebbe portare un aumento degli indici di edificabilità.
Come altrimenti definire tutto ciò, se dovesse concretizzarsi, se non con il termine di deregulation?