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LA LEZIONE DELLA GRECIA

2 maggio 2010 0 commenti

Le reazioni dei governi europei di fronte al collasso della Grecia mi fanno riflettere sul significato della Unione Europea. Quando si appartiene a una stessa famiglia viene naturale nel momento del bisogno supportare il componente più debole. Anche se magari in privato si stabiliscono nuove relazioni. E se il senso dell’unione prevale, si è disposti a fare anche piccoli o grandi sacrifici per aiutare chi ha bisogno.

Questo atteggiamento non sembra quello che sta avvenendo in Europa dove il dibattito in corso è incentrato solo su aspetti tecnicistici e raramente si sposta sul livello più profondo del significato dell’unione stessa.

E’ ovvio che la Grecia è stata oggetto di speculazioni finanziarie da parte di giocatori senza scrupolo, ed è ovvio che questo è solo un assaggio di quello che può avvenire se non si ribaltano le posizioni di forza riportando la politica al centro della vita sociale.

Ma che cosa è la politica? A che cosa serve? Da anni alla vera politica è subentrato un governo di tecnici e tecnocratici e, per molte persone, Bruxelles è solo una macchina burocratica incapace di avere relazioni con i cittadini europei. E questi non la percepiscono come un soggetto che tutela la loro vita quotidiana, ma come un fastidioso contratto.

E in effetti il fatto che non si sia riusciti a scrivere una Costituzione Europea ma che alla fine si sia optato per un Trattato Costituzionale illustra esattamente il significato della frase precedente. Una costituzione è un insieme di poche leggi fondamentali che partendo dalla identità di un popolo arriva a dettare le regole basilari di governo. In alcune costituzioni si arriva persino a riportare le aspirazioni e i sogni del loro popolo: dalla uguaglianza alla libertà e, perfino, alla felicità.

Ma non in quella europea che, dopo un dibattito durato qualche anno, non è riuscita a definire l’identità comune delle persone che dovrebbe guidare. E’ per questo che, sia la fallita costituzione prima sia il trattato costituzionale poi, erano libri voluminosi e scritti in linguaggio tecnico. Erano concentrati sulle questioni del presente e non sulla costruzione del futuro: cioè sul compito specifico della politica. L’Europa ha barattato il suo ruolo di guida del futuro con quello di gestore. Non è un leader ma un manager.

Se la costituzione di un paese ha l’obiettivo di parlare ai cuori delle persone, quella europea parla al cervello di alcune persone istruite.

La mancanza del tema della identità è la base di tutte le disgregazioni che stanno avvenendo. E’ probabile che presto il Belgio si separi in due nazioni, la Catalogna esca dalla Spagna. In tutti gli stati europei vi sono frange di cittadini che rivendicano maggiore autonomia.

Così il tema della Grecia non è affrontato elaborando una nuova visione comune, anche alla luce della crisi economica generale, ma come un mero problema di bilancio locale.

Eppure l’Europa aveva elaborato strategie interessanti come quella di Lisbona del 2000 sulla Economia della Conoscenza o come quella degli obiettivi energetici e ambientali al 2020. Ma anche questi obiettivi non sono stati trasmessi come sogni e visioni per il cittadino, e sono stati tradotti in numeri e regolamenti solo per esperti. Paradossalmente sembrano obiettivi politici per un osservatore esterno ma non per il cittadino qualunque. Un cittadino che, incapace di comprendere i tecnicismi, sempre di più si rifugia in piccoli gruppi e ricerca la sua identità separandosi dagli altri e separandosi dall’Europa stessa.

All’Europa serve un sogno, serve di trasformare le sue decisioni tecniche in visioni politiche. Innovazione tecnologica ed energia, che sono l’oggetto di alcune ardite scelte, dovrebbero essere trasformate in fatti e rese accessibili al cittadino. L’energia distribuita, la mobilità elettrica, le reti intelligenti e l’efficienza energetica possono supportare questa trasformazione. Possono aiutare a dare una nuova identità al cittadino del terzo millennio che ha un rapporto con la tecnologia molto più viscerale rispetto ai suoi antenati.

Ma stiamo parlando di politica vera e non di atti amministrativi.