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Giornata mondiale della biodiversità. E in Italia si parla di caccia allo stambecco

22 maggio 2009 0 commenti

L’Italia e’ un dei paesi piu’ ricchi di biodiversita’, un vero e proprio ‘hot spot’ mondiale, ma anche uno di quelli piu’ esposti alla perdita: dalle arance di Catania alle ciliegie di Pavia, dagli orsi alle lontre fino al lupo all’aquila e allo stambecco, sono 138 le specie minacciate di cui l’8% appartenente al regno delle piante e il 92% a quello degli animali.

A contribuire alla diminuzione di biodiversita’ del nostro Paese anche la perdita del suolo al ritmo di 110 chilometri quadrati all’anno, pari a 30 ettari al giorno, 200 metri quadrati al minuto. Sono queste alcune delle considerazioni di Legambiente e del Wwf in occasione della giornata mondiale della Biodiversita’ che si celebra domani. Con circa 57.000 specie animali (1/3 di quelle europee) e 5.600 specie floristiche (il 50% di quelle europee), dei quali il 13,5% specie endemiche, l’Italia, dicono Legambiente e Bioversity international in un dossier, e’ il paese Europeo piu’ ricco di biodiversita’ ma molta della ricchezza si sta perdendo: alla fine dell’ottocento la varieta’ di frutta arrivava a 8000 diversi tipi oggi a poco meno di 2000, sono a rischio arance, limoni, mele, pere, ciliegie, mandorle, varieta’ di angurie e melone che gia’ quasi non ci sono piu’, la tartaruga comune (la caretta caretta), la foca monaca, il muflone, lo storione, la cernia. L’ultima Red list della Iucn (International union for conservation of nature) parla di un aumento della minaccia d’estinzione: contiene 44.838 specie di cui 16.928 a rischio.

stambecco

Per Michele Candotti, direttore generale del Wwf, proporre di riaprire ”la caccia a una specie simbolo delle nostre vette alpine, come lo Stambecco” e’ soltanto ”l’ultimo atto di un’
arretratezza culturale che abbiamo  registrato anche nei reiterati tentativi
di deregulation della caccia nazionale di questi ultimi mesi, realtà che sta
portando indietro l’Italia di almeno  50 anni.  E’ un segnale preoccupante
che svela come un tema così strategico per il futuro del paese, ovvero, la
difesa della biodiversità , sia ostaggio politico nelle mani di pochi (i
cacciatori sono appena l’1% della popolazione italiana), frutto anche di una
fase pre-elettorale che non rispecchia alcun interesse della collettività.
‘ultimo atto di un’arretratezza culturale che abbiamo registrato anche nei reiterati tentativi di deregulation della caccia nazionale” .

L’associazione del Panda, dice il presidente onorario Fulco Pratesi, chiede l’impegno del ministro dell’Ambiente per salvare animali simbolo come l’orso, lo stambecco, il lupo, che rendono unico il nostro Paese. La Fao stima che il 75% delle varieta’ delle colture agrarie siano andate perdute e che i tre quarti dell’alimentazione mondiale dipendano da appena 12 specie vegetali e 5 animali. Come effetti diretti delle circa 30.000 specie commestibili in natura, appena 30 sono le colture alimentari che soddisfano il 95% del fabbisogno energetico mondiale e, tra queste, frumento, riso e mais forniscono piu’ del 60% delle calorie che consumiamo. Negli ultimi decenni sono aumentate le cause antropiche all’origine della perdita di biodiversita': i cambiamenti di uso del suolo, i cambiamenti climatici, l’introduzione di specie aliene, la variazione di concentrazione di Co2 e le deposizioni azotate a cui vanno aggiunte le piogge acide. La Carta di Siracusa siglata al G8 Ambiente contiene un insieme di impegni e azioni da portare avanti per evitare la perdita delle biodiversita’. E poi, l’impegno per il Countdown 2010 (un’alleanza di governi, Ong e settore privato) con l’obiettivo di intraprendere le azioni per fermare la perdita di biodiversita’ entro il 2010, l’anno della svolta e del target per tutti i governi del mondo. La Ue, dichiara Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente, ha annunciato che per ”il 2009-2013 i governi dovranno concentrarsi sul tema dei cambiamenti climatici e del loro impatto sulla biodiversita”’.

Una ultima cosa. In Italia con la Legge n.124 del 14 febbraio 1994 il Parlamento ha
ratificato la Convenzione Internazionale sulla Diversità Biologica ma ancora
oggi non esiste una strategia nazionale per conservazione della
biodiversità, in ottemperanza dell’articolo 6 della convenzione. Complimenti per l’attenzione del mondo politico tutto.


LA LISTA WWF DELLE SPECIE ‘SIMBOLO’ IN PERICOLO IN ITALIA

Orso: piccole e ridotte popolazioni che vedono ogni giorno di più contrarsi
il loro habitat i loro boschi , frammentato da strade, minacciato da nuovi
insediamenti sciistici e abitativi, tagliati per fare spazio a nuovi terreni
agricoli e per finire messi a serio rischio da una cattiva gestione della
caccia  e vittime di quel veleno che mani incoscienti continuano  a spargere
nei nostri ambienti (20-25 individui sulle Alpi, 60 sugli Appennini)

Lontra: chi l’avrebbe mai detto che un’auto potesse rappresentare un serio
rischio per la lontra, raro abitante dei nostri corsi d’acqua. Eppure è così
le infrastrutture viarie che hanno negli ultimi anni frammentato i loro
ambienti sono diventate delle barriere, degli ostacoli tra un corso d’acqua
e un altro e oggi oltre alla distruzione degli ambienti fluviali la lontra è
diventata una delle vittime illustri delle auto nel vano tentativo di
spostarsi da un fiume ad un altro. (220-260 individui stimati e distribuiti
lungo i fiumi del centro sud)

Stambecco alpino: Lo stambecco è senza dubbio una delle specie simbolo dell’
arco alpino, testimonial di una rinascita nello scorso secolo a partire da
un’unica popolazione residua che rimaneva nel 1920 all’interno del
territorio del Parco Nazionale Gran Paradiso, e grazie ad ingenti sforzi
promossi ha riconquistato una parte del suo antico areale con nuove
popolazioni che, nella maggior parte dei casi, sono tuttora piccole e
sofferenti a causa di una bassissima variabilità genetica, e di una
particolare vulnerabilità della specie agli stress ambientali e di natura
antropica,  il global warming sembra avere la capacità di influire sulla
mortalità dei piccoli di ungulati consentendoci di affermare come questa
specie sia tra quelle in crisi a causa dei cambiamenti climatici. (circa
30.000 capi su tutto l’arco alpino, di cui almeno un terzo in Italia)

Lupo: ancora oggi il bracconaggio rappresenta la prima minaccia per questa
specie, un accanimento verso questo animale perpetrato in risposta ai
presunti danni causati dal lupo al bestiame domestico che troppo spesso non
è seriamente gestito favorendo la sua potenziale predazione, da non
sottovalutare poi la perdita di identità genetica causata dall’ibridazione
con i cani randagi, problemi ai quali si accostano la frammentazione e
degrado dell’habitat che sta consumando gli ambienti più adatti a questa
specie. (Le ultime stime di densità parlano  500-800 individui)

Capriolo italico: anche per questa specie il bracconaggio continua a
rappresentare una seria minaccia favorito dalla frammentazione dei suoi
territori, da strade montane che arrivano fino nel cuore dei più importanti
boschi per questa specie. Inoltre vi è sempre più evidente la perdita della
specificità genetica dovuta a ibridazione con la sottospecie europea
utilizzata in passato per i programmi di reintroduzione scopo caccia. (meno
di 10.000 individui)

Aquila del Bonelli: poche coppie sempre più assediate dall’avanzata delle
infrastrutture umane che stanno modificando un ambiente un tempo ricco di
conigli e alte potenziali prede, e oggi povero, con scarse risorse
alimentari e con sempre più insistente il fenomeno del bracconaggio che
sembra volere condannare all’estinzione questa specie nel nostro paese.
(10-12 coppie)

Capovaccaio: le aride steppe mediterranee sono oramai scomparse quasi del
tutto e con loro si sta rarefacendo sempre di più il piccolo avvoltoio degli
egizi, sfrattato dalle sue rupi assediate dall’uomo e con sempre meno
terreni liberi dove ricercare le sue prede, inoltre una politica
irresponsabile ha negli ultimi anni permesso la nascita di centrali eoliche
o di linee aeree vicino agli ambienti rupicoli frequentati minacciano
seriamente gli ultimi esemplari. (nel 2005 sono state stimate 10 coppie)

Pernice bianca: forse una delle più importanti vittime dei cambiamenti
climatici, vittima di un ambiente che troppo velocemente si va modificando
alterando la stagionalità, su una popolazione ai limiti insiste poi ancora
oggi una caccia irrazionale ed irresponsabile che non sembra valutare la
crisi che la specie sta affrontando ma vuole persistere una attività che un
tempo una popolazione vitale e abbondante poteva sopportare ma che oggi può
decretarne l’estinzione in pochi anni. (5.000-9.000 coppie)

Gallina prataiola: non una gallina ma un parente stretto della nobile gru.
Legata agli ambienti steppici e agricoli è minacciata dalla trasformazione
di questi ecosistemi determinati dall’abbandono delle pratiche agricole e
zootecniche. (circa 350 coppie)

Anatre mediterranee: quattro specie di anatre rare frequentano gli ambienti
umidi del Mediterraneo: Moretta tabaccata, Anatra marmorizzata, Gobbo
rugginoso e Fistione turco. Sono sempre più rare e alcune estinte in Italia.
La trasformazione degli ambienti umidi dovuti alle bonifiche e al consumo
del suolo hanno ridotto queste bellissime specie sull’orlo dell’estinzione
in tutto il bacino del Mediterraneo. (moretta tabaccata: 10-30 coppie;
anatra marmorizzata:circa 10 coppie; fistione turco:30-35 coppie; gobbo
rugginoso: alcuni individui reintrodotti)

Pelobate fosco: vittima illustre della progressiva scomparsa di ambienti
umidi residuali e dalla bonifica agricola e dal consumo del suolo che ha
interessato tutta la nostra pianura padana. Oggi le poche popolazioni
rimaste sono al limite con piccole popolazioni soggette ad impoverimento del
proprio patrimonio genetico. (

Pesci delle acque interne: nei fiumi e nei laghi italiani vivono ben 48
specie di pesci, le principali minacce sono legate all’artificializzazione
dei corsi d’acqua che vengono spesso ridotti a dei tubi di cemento, alle
captazioni sempre più massicce di ogni corso d’acqua e all’immissione di
specie estranee che finiscono per sostituire le nostre specie.

Tartarughe marine: Ormai in Italia depongono le loro uova in pochissimi
luoghi costieri e il numero dei nidi è esiguo. Questo a causa dell’estesa
antropizzazione delle coste e del conseguente disturbo alle femmine che
vogliono deporre, alle uova in incubazione e hai piccoli appena nati, fino
ad arrivare a situazioni di estremo degrado dell’habitat in cui la spiaggia
stessa è scomparsa. Nel mare le tartarughe sono ancora presenti, e i mari
Italiani sono particolarmente importanti, ma le catture accidentali in
attrezzi da pesca minacciano la sopravvivenza delle popolazioni
mediterranee.