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Il segreto del relitto Catania

23 gennaio 2010 0 commenti
ìììIl "tubeworm" del Catania (foto Ezio Amato, Ispra)

Il "tubeworm" del Catania (foto Ezio Amato, Ispra)

Ci si immerge nelle azzurre acque del litorale calabro, a caccia di fusti radioattivi, del relitto di una nave che spaventa per il carico letale che può avere a bordo – carico tuffato illegalmente in quelle acque da più di un decennio – e ci si trova faccia a faccia con un organismo marino alquanto anomalo. Non ci sarebbe nulla di strano, se non si trattasse di una specie, con ogni probabilità, mai avvistata prima d’ora e di grande interesse scientifico: un verme che vive in un tubo che lui stesso produce, appartenente a un gruppo di Anellidi marini dalle caratteristiche peculiari e rari a vedersi, soprattutto a 500 metri di profondità e nel Mediterraneo.

Già, perché il verme in questione viveva proprio lì, tra i ponti marciti e la chiglia arrugginita di quella che era una nave di linea a vapore, il piroscafo Catania, affondato nel 1917 in acque calabresi mentre si avvicinava a Napoli.

Il "tubeworm" nel suo ambiente naturale. (foto Ezio Amato. Ispra)

Il "tubeworm" nel suo ambiente naturale. (foto Ezio Amato. Ispra)

Analoghi vermi cui si possono ascrivere gli esemplari reperiti in Calabria ed analizzati da Ezio Amato, ricercatore marino dell’Ispra, sono soliti vivere e riprodursi in ambienti cosiddetti estremi, grazie alle colonie di batteri che ospitano al loro interno, capaci di sfruttare sorgenti di energia chimica. Ma i “nostri” sono stati ritrovati in un ambiente che non appare ”estremo”. La co-presenza di specie tipiche di quei fondali (quali grongo e scorfano) e di esemplari di una specie, probabilmente nuova per la scienza, che non potrebbe vivere se non disponesse di condizioni ambientali difficilmente compatibili con la vita delle prime, pone seri interrogativi sulle caratteristiche del sito dove giace il relitto così come sulle capacità di adattamento di verme e batteri.

Il recupero del "tubeworm". (foto Ezio Amato. Ispra)

Il recupero del "tubeworm". (foto Ezio Amato. Ispra)

Questi vermi sono in grado di sopravvivere perché sfruttano sostanze fuoriuscite dal relitto in grado di rendere l’ambiente consono per loro? Oppure l’ambiente marino dove vivono manifesta condizioni “estreme” solo saltuariamente?

I relitti di navi affondate sono diventati una minaccia fino a pochi decenni fa poco considerata. Nel secolo scorso, durante i conflitti mondiali sono affondate migliaia di navi di ogni dimensione e con contenuti tra i più svariati. Col passare del tempo, la corrosione libera idrocarburi del petrolio e aggressivi chimici provocando gravi fenomeni d’inquinamento marino. Le famose “maree nere” di cui ogni tanto si legge, possono essere provocate anche dal rilascio di combustibile dai relitti sommersi. In particolare, il rilascio di combustibile, oli lubrificanti, pitture antivegetative, esempi di inquinanti derivanti dai relitti sommersi, provocano danni agli ecosistemi marini anche a grande distanza dal luogo del rilascio.

I nostri vermi marini sono dunque figli del Catania o di qualche altro relitto seppellito chissà dove nelle profondità marine?

Cristina Pacciani

Ispra