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Etica, politica ed economia: la crisi libica

22 febbraio 2011 0 commenti

Non ci si salva da soli in un mondo globalizzato e chi pensa di esser furbo alla fine paga. Non si tratta di un luogo comune di buon senso ma degli evidenti effetti della politica estera spregiudicata del premier Berlusconi verso il colonnello Gheddafi. Solo pochi mesi fa suscitò in noi sdegno l’ossequiosa accoglienza con cui il nostro premier ricevette il dittatore libico, umiliando perfino l’arma dei carabinieri piegandola ai bizzarri desideri dell’ospite. La risposta secca del premier italiano alle critiche fu di essersi messo machiavellicamente al servizio della ragion di stato in nome di una supremazia delle ragioni economiche, ed in particolare degli affari di alcune importanti imprese italiane. A prescindere dal fatto che ciò conferma che il nostro premier non sembra proprio avere un buon rapporto con l’etica, i drammatici fatti che la Libia sta vivendo in queste ore dimostrano che l’economia senza etica rischia di provocare più danni che benefici.gheddafi130610_280xFree

Certo è più facile fare affari senza porsi problemi di etica, di legalità e di diritti, questo ci insegna anche quello oscuro mondo di affaristi piccoli e grandi che come sanguisughe operano spericolatamente nel mondo della finanza. Questa è la storia di tanti che oggi siedono in parlamento ed in molti consigli di amministrazione di imprese pubbliche e private.

Danni di immagine e discredito internazionale non sembrano suscitare grande preoccupazione nel nostro governo, ma è facile prevedere grandi difficoltà economiche per le imprese che si era inteso favorire piegandosi, oltre le necessità del protocollo, ad effusioni di affetto personale per un tiranno ritenuto dalle diplomazie internazionali,  fino a pochi anni fa, un pericoloso terrorista al pari di Osama Bin Laden. Quale governo del dopo Gheddafi non presenterà il conto alle imprese ed al Governo italiano che tanto si è sbilanciato verso il dittatore?

Ma la situazione libica è anche una evidente dimostrazione di insostenibilità, non solo ecologica ma anche etica e sociale, del modello economico consumista. Esso si fonda sull’accaparramento di risorse non rinnovabili, presenti in aree limitate del pianeta, quasi sempre in paesi poveri o in via di sviluppo, e sul controllo di poche grandi compagnie che ne canalizzano i profitti andando ad alimentare i consumi nei paesi ricchi. Già circa 10 anni fa Emil Salim, economista consulente della Banca Mondiale, metteva in risalto in un rapporto sugli effetti delle attività estrattive, che esse non creano benessere nei paesi dove risiedono i giacimenti, dove i profitti sono canalizzati in poche mani quasi sempre colluse con un potere dispotico, ma producono benessere nei paesi utilizzatori. Questo ingenera un insostenibile flusso di ricchezza dai paesi poveri verso i paesi ricchi. Ma come l’insostenibilità ambientale ha il suo esito inevitabile nelle grandi crisi ecologiche, l’insostenibilità sociale ha il suo esito tragico nei moti violenti a cui stiamo assistendo in questi giorni.

Ma la lezione più evidente che dobbiamo imparare da queste tragedie è che l’insostenibilità sociale coincide con quella ambientale, l’ecologia naturale coincide con l’ecologia umana. Una classe politica che non sa vedere questo non ha futuro e rischia di produrre con le sue presunte machiavelliche astuzie solo danni.