Biodiversità… di vedute
E’ passato il primo giorno di conferenza, il giorno degli entusiasmi delle celebrazioni dei “ciao che bello rivederti” , del “siamo tutti qui” ma anche del fatidico “ce la faremo?”. Ecco quindi che il secondo giorno le orecchie si fanno più attente, gli occhi più concentrati, si cerca di capire nella moltitudine dei programmi, delle presentazioni e delle discussioni, quali siano le cose che assolutamente non possiamo mancare. In quali stanze saranno dette le parole, saranno illustrati i concetti, saranno indirizzate le discussioni che hanno il compito di segnare la strada, di offrire una via d’uscita, per salvare la biodiversità del Pianeta. Niente di meno. I prossimi giorni saranno importanti per impostare il lavoro sui tanti temi in agenda che possano sfociare in un unico documento (per ora la bozza del documento in discussione è di 195 pagine…..!) in grado di dettare le linee guida per tutelare la biodiversità, almeno nei prossimi 10 anni.
Si è tutti fondamentalmente consapevoli dell’importanza di questo incontro “globale”. Saremo capaci di trasmettere fuori da queste bellissime e coloratissime aule il senso del nostro messaggio? Saremo in grado di far capire a chi fondamentalmente governa le nostre vite dell’urgenza delle decisioni e delle svolte?
In queste ore comincia poi a delinearsi una ‘geografia’ dei ‘desiderata’ sulla biodiversità. Ad esempio, il più grande scrigno di ricchezza naturale del pianeta, il Brasile, ha già messo le mani avanti chiedendo che la conservazione della biodiversità passi attraverso una condivisione equa delle risorse genetiche. Il Protocollo ABS – sull’accesso e la condivisione dei benefici (Protocol on Access and Benefit Sharing), richiesto fortemente anche dal gruppo dei paesi africani, nei prossimi giorni rischia di diventare il nodo cruciale per la conservazione della natura nel pianeta. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che uno dei grandi furti di natura avviene proprio nei luoghi più ricchi di biodiversità dove maggiormente operano le grandi multinazionali a caccia di ‘molecole’ provvidenziali contenute in batteri, animali, piante da mettere in commercio senza restituire alcun beneficio alle popolazioni locali.
Il secondo tema di questa giornata, che ha aperto l’orizzonte a nuovi scenari internazionali, è stato il rilancio della sfida delle aree protette. Poter immaginare un futuro con un 20% di foreste, coste e mari protetti dà una maggiore concretezza e forza alle speranze di salvare il pianeta.
Si è arrivati a Nagoya con la drammatica consapevolezza che ciò la natura è stata capace di costruire in milioni e milioni d’anni viene ancora oggi smontato pezzetto per pezzetto alla velocità con cui un ragazzino butta giù un castello di carte: nei tempi geologici del nostro Pianeta si tratta di poco più del tempo di un respiro. Eppure se esiste la Convenzione della biodiversità, creata a Rio quasi 20 anni fa, se esiste lo stesso meeting di Nagoya e l’ottimismo che l’accompagna, vuol dire che possiamo fare ancora tanto. Vuol dire che sul tavolo esistono le proposte, le soluzioni. E non si tratta di rinunciare, abbandonare, ma di migliorare, di cambiare di imparare, di essere più attenti, ma soprattutto di guardare al pianeta e alla biodiversità con occhi diversi capaci di comprenderne e proteggerne la complessità che, alla fine dei conti, è la nostra unica garanzia di sopravvivenza.