Specie a rischio e conflitti: il ‘caso’ India
Nella sua parte più nord orientale l’India scavalla la pianura affamata del Bangladesh, dove le acque limacciose del Gange affogano un territorio martoriato dall’uomo, e arrivano in una delle regioni più ricche di biodiversità del pianeta. Siamo nella regione di Assam lontana dal governo indiano, vicina alla fame del delta del Gange ma anche al magico Buthan. Qui convivono da anni un’ arrabbiata instabilità politica, una crescita demografica galoppante, una buona dose di povertà, ma anche territori di incredibile bellezza e di eccezionale ricchezza naturalistica. Per gli appassionati l’Assam è la regione del Parco di Kaziranga ma anche di Manas, uno dei parchi più ricchi di tigri di tutta la penisola indiana.
E quando diciamo tigre diciamo tutto quello che la tigre rappresenta ovvero territori ricchi di una biodiversità unica al mondo: elefanti, rinoceronti, il leopardi nebulosi, tante specie di gatti selvatici, delfini di fiume, e moltissime altre specie in via d’estinzione.
Proprio qui domenica 6 febbraio sono stati rapiti in questo parco 6 dipendenti del WWF che, ironia della sorte, stavano appunto completando un censimento delle tigri. Poco da stupirsi: la sventura delle tigri è proprio quella di vivere in regioni e ambienti esasperati dai conflitti sociali e di contendersi con l’uomo territori e spazi dove la fame e l’esplosione demografica non fanno sconti a nessuno. Poco importa essere giovani e appassionati e dedicare la propria vita al futuro di questi incredibili felini in India, lavorando in condizioni estreme e con pochissime risorse (in Nepal, alcuni anni fa hanno trovato la morte diversi funzionari WWF impegnati nella conservazione di tigri e rinoceronti): ad alcuni importa solo quanto può essere utile a colpire l’attenzione dei media, portando avanti obiettivi, nei quali la tigre e tutto quello che la tigre rappresenta ha uno spazio del tutto marginale (sempre che non sia anzi di intralcio), nel faticoso cammino verso le attese di un futuro migliore che migliore molto probabilmente non sarà.
E in questa terra di contraddizioni, di voglia di sviluppo, di rincorsa verso modelli drammaticamente perdenti, il WWF cerca di salvare qualcosa, di assicurare a questi grandi felini il diritto di sopravvivere, consapevoli che loro presenza su questo pianeta rappresenta anche la nostra speranza di futuro. E la cosa bella è che riesce a farlo in punta di piedi, convincendo le comunità del posto a collaborare, rendendole protagoniste di progetti e risultati, definendo con loro alternative di sviluppo vantaggiose e durature. Non a caso i funzionari sono sempre giovani del posto, donne, neo laureati, entusiasti ed innamorati del loro territorio e della loro cultura.
Cosa possiamo fare di fronte a questo gesto così folle? Sperare che un popolo meraviglioso come il popolo indiano capisca che quei sei giovani impegnati in una battaglia apparentemente tanto diversa, sono in realtà vicinissimi al loro fianco e, proteggendo un bene prezioso come le tigri e quello che rappresentano, hanno più di chiunque altro a cuore il futuro dei loro territorio. Perché appunto il loro modello non è la miseria e la fame del Bangladesh ma uno sviluppo intelligente che sappia trarre il giusto profitto dall’incredibile capitale di natura e biodiversità dell’India.