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Nucleare, ecco le 5 ragioni del no: partendo da Enrico Mattei

13 marzo 2009 0 commenti

Enrico Mattei Vi segnalavo ieri le ragioni del si al Nucleare. Ecco le ragioni del no così come le ha impostate Carmelo Mandarà su Suddest. L’analisi che ne viene fatta parte da lontano, dalla morte di Enrico Mattei evento che ha segnato, nel bene e nel male, uno spartiacque nelle scelte energetiche da adottare per il nostro Paese.

1) Da Mattei in poi l’Italia ha detto no al nucleare. Il referendum abrogativo del 1987 è stato solo un atto dovuto.

Il primo colpo all’autonomia energetica italiana era già stato dato dalla morte di Mattei, che aveva acquistato una delle tre centrali nucleari, presenti allora in Italia,e che ponevano l’Italia nel 1965 al terzo posto nel mondo per la produzione di energia nucleare. Nel 1960 il Governo sovietico chiede a Eni di partecipare alla costruzione dell’oleodotto Caucaso-Mare del Nord e si dichiara disposto a fornire, in 4 anni, 12 milioni di tonnellate di greggio a prezzi vantaggiosi. Il vantaggioso e consistente sconto permette a Eni di abbassare il prezzo della benzina e al governo russo tramite la costruzione della pipe-line, di realizzare il primo sbocco verso i mercati occidentali. L’accordo suscita forti reazioni negative da parte USA e il presidente Eni viene accusato”di avere rotto gli equilibri del mercato dei prodotti petroliferi, scavalcando e danneggiando con la sua egoistica autonomia non solo gli interessi delle grandi Compagnie ma anche di avere compromesso futuri equilibri politici”. Mattei entra in fase di collisione con le grandi imprese petrolifere internazionali, un conflitto che lo accompagnerà fino alla sua tragica morte, nel cielo di Bascapè. L’Italia era già diventata un grande acquirente dei prodotti petroliferi su “pressioni” esterne collegate al partito del petrolio. Il referendum non fece altro che ratificare l’esistente.

2) L’unico nucleare competitivo è quello militare al plutonio.

Proprio perché non competitivi sul piano economico gli Stati Uniti hanno dato avvio un programma di ricerca, denominato Generation IV, con lo scopo di progettare dei reattori nucleari di nuova concezione, più competitivi, rispetto ai reattori oggi esistenti, sia dal punto di vista economico che della sicurezza evitando di costruire reattori di terza generazione, anche se più “sicuri” rispetto a quelli di prima e seconda generazione, essendo venuta meno con la fine della guerra Fredda, la necessità di produrre Plutonio per uso militare.

3) L’Uranio è destinato a finire.

Secondo le stime dell’Energy Watch Group le riserve di uranio sono destinate a scarseggiare entro 35-40 anni. A partire dagli anni Ottanta, le centrali nucleari consumano più uranio di quanto l’industria minerale non produca. La differenza fra produzione e consumo di uranio è stata coperta dal 1980 a oggi smantellando vecchie testate nucleari e utilizzando come combustibile per i reattori l’uranio che era stato immagazzinato nelle bombe.

4) Paghiamo dagli anni ‘60 all’ENEL una “quota atomica”per la dismissione delle vecchie centrali. Ma ad oggi non esiste ancora una reale soluzione.
In Italia le ultime centrali nucleari sono state chiuse nel 1987 ma nel nostro Paese sono presenti ancora oggi 80 mila metri cubi di scorie radioattive “momentaneamente” alloggiate in depositi superficiali ed ogni anno, da laboratori di ricerca, ospedali e industria, producono 500 tonnellate di scorie radioattive, che si vanno ad aggiungere a quelle derivanti dalle ex centrali
D’altronde è dagli inizi degli anni Sessanta, da quando le centrali erano ancora in costruzione, che i contribuenti pagano per il loro smantellamento poiché nella bolletta Enel è sempre stata inserita una “quota atomica” finalizzata alla creazione di fondi per la dismissione. Dal novembre del 1999 tali fondi costituiscono il capitale della Sogin, l’ente che attualmente si occupa del “decommissioning”. La Sogin, dovrebbe “risolvere” il problema delle scorie individuando un sito unico nazionale per il deposito, ma nel frattempo, il materiale radioattivo giace presso le centrali nucleari ferme e nei tanti altri siti “in fase di smantellamento” presenti su tutto il territorio[i] oppure, alcune tonnellate di tale materiale vengono spedite all’estero per subire un processo di riciclaggio ed essere rispedite indietro, come nel caso delle 235 tonnellate di combustibile nucleare provenienti dalle ex-centrali per il cui trattamento la Sogin ha firmato un contratto del valore di oltre €250 milioni con la francese Areva.
5) L’Europa ha smesso di costruire centrali nucleari.

Nessun paese europeo, tranne uno, progetta di rilanciare attualmente in maniera massiccia il settore nucleare. In Finlandia è in costruzione un reattore di tipo EPR commissionato dalla compagnia finlandese TVO che aveva stimato per il reattore di 1600MW un costo di 2,5 miliardi di euro e pochi anni di costruzione. Al momento i costi stanno superando i 4 miliardi di euro e anche i tempi di costruzione si sono allungati. In Gran Bretagna nel 2008 è stato annunciato il progetto della costruzione di una nuova centrale e in tale Pese, che conta ben 19 impianti in esercizio e con una lunga e ininterrotta tradizione in questo campo, non è prevista la realizzazione in tempi inferiori ai dieci anni. La Germania, dove attualmente sono presenti 17 impianti, invece ha deciso di abbandonare il programma nucleare già dal 2000 e si pensa che fra vent’anni la produzione di energia solare sarà tale da poter spegnere l’ultima centrale. Nel 2002 anche il parlamento belga ha deciso la chiusura dei suoi sette reattori entro il 2025.

Via | Suddest
Foto | Vicenza popolare